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Impronta ambientale dell’ortofrutta: la UE dice che la confezione è marginale
Dall’Agata (Bestack): «Meno falsi miti e più scienza»
Per analizzare l’impatto ambientale, fin troppo spesso si punta il dito contro gli imballaggi. Ma sappiamo veramente quanto pesano nella sostenibilità di un prodotto? Proviamo a fare chiarezza con Claudio Dall’Agata, direttore generale del consorzio Bestack.
Partendo dallo studio della Commissione europea: "Edgar-Food: a global emissions database of food systems" (che, dal 1990 al 2015, ha monitorato l'evoluzione del sistema alimentare in risposta alla crescita della popolazione mondiale), Dall’Agata spiega: “È stato misurato come il peso dell’imballaggio sul totale dell’impatto ambientale valga solo il 5%, mentre lo spreco arriva al 9% e l’utilizzo del suolo e il ciclo produttivo, quindi la coltivazione compresa la raccolta, fino al 72%”.
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“Questo significa che il peso dell’imballaggio nell’impatto ambientale della mela che stiamo mangiando, per citare il frutto per antonomasia, vale appena il 5% mentre il restante 95% dipende da altri fattori – specifica Dall’Agata – e, nel caso in cui gli imballaggi – di tutti i tipi, per assurdo venissero eliminati, l’impatto ambientale complessivo scenderebbe certamente del 5%, imputabile questo all’assenza di confezionamento, ma tale assenza generebbe un incremento, dalla distribuzione al consumo, di sfridi, perdite di prodotto, prodotto non acquistato e prodotto acquistato buttato che farebbe aumentare complessivamente il cibo prodotto non consumato. Si avrebbe quindi un aumento di prodotti e risorse sprecate, nettamente superiore all’ipotetico risparmio ambientale ottenuto sugli imballaggi, senza contare che poi ci sono imballaggi, come quelli Attivi, che lo spreco lo riducono di quasi l’1% rispetto al 9% che vale. Per questo ritengo che per il settore del packaging nel suo complesso, al di là delle diverse tipologie di imballaggio, sia prioritario concentrarsi su come evitare di sprecare cibo e ridurre quel 9%, anche perché l’aspetto produttivo vale ¾ degli impatti totali. Serve un impegno a 360 gradi di tutti gli attori della filiera, che parta dalle evidenze scientifiche nell’interesse collettivo. È una tematica di responsabilità: tutte le fasi dovrebbero cercare di impattare meno. La riduzione dello spreco è per questo il minimo comun denominatore per tutti“.
Sostenibilità, una responsabilità condivisa
Il direttore di Bestack ritiene fondamentale una condivisione di valori che possa portare ad un approccio univoco alla questione: “La filiera ha bisogno di fatti, attività, progetti e tentativi – dice – perché le parole non bastano più. È ora di creare un osservatorio terzo e permanente sulla sostenibilità degli imballaggi e sugli effetti della loro riduzione degli sprechi, per avere risposte certe e puntuali e individuare le migliori soluzioni: è fondamentale fare questo passaggio perché ci ascolti anche la Grande distribuzione organizzata. E da questo punto di vista, noi siamo i primi disponibili a collaborare con loro”.
L’importanza della ricerca ‘super partes’
Il problema della sostenibilità – interpreta Dall’Agata – è che viene interpretata a piacimento dai diversi attori ma è necessario scegliere per evidenza scientifica e non per idea di parte. Nelle ricerche sappiamo bene che le assunzioni primarie hanno effetti a caduta sui risultati, per questo occorre condividerle perché ci si ritrovi nel loro corretto utilizzo a rappresentazione della realtà. “Dimmi che imballaggio usi e ti dirò se sei sostenibile è fuorviante, vale sempre il 5% del totale – commenta il direttore di Bestack – mentre serve un approccio collettivo del sistema, iniziando a domandarsi cosa fare in produzione e distribuzione per aumentare la sostenibilità. Va analizzato caso per caso il mix più sostenibile dei fattori di produzione e la comunicazione deve essere onesta e coerente: solo così possiamo avere strumenti e valori in grado di orientare anche la politica. Ce ne siamo resi conto drammaticamente proprio ora”.
Attenzione agli esempi fuorvianti
Per analizzare i malfunzionamenti del settore, Dall’Agata cita l’esempio di Babaco Market al mercato centrale di Milano (vedi foto sopra): “Ai consumatori viene chiesto di acquistare un chilogrammo di frutta e verdura per arginarne lo spreco e quindi il consumo di anidride carbonica. È la conferma che l’impatto dello spreco alimentare pesa quasi il doppio degli imballaggi, quindi occorre concentrarsi nelle scelte che non fanno sprecare, e se gli imballaggi ne sono parte tanto meglio, ancor meglio se sono di cartone, specie se Attivo. Abbiamo bisogno quindi di riportare le verità a galla, nell’interesse collettivo, per questo serve lo sforzo di tutti”.
Imballaggio Attivo!, novità in arrivo
In attesa di capire il destino della normativa europea sugli imballaggi, Bestack dimostra di essere in prima linea sulla ricerca e sta portando avanti un progetto sull’Imballaggio Attivo!: “Stiamo realizzando prove su prodotti di lunga conservazione: l’utilizzo dei nostri imballi ha consentito di ridurre le non conformità qualitative in maniera significativa, oltre a ridurre anche i consumi energetici. Presto potremmo dare nuove informazioni a riguardo, non appena saranno disponibili i dettagli dello studio”.