Dal campo
Anguria gialla, un mix di produttività e gusto
Il produttore Augello: «Prezzi più alti del 15/20% rispetto alla classica anguria»
È nata come un’alternativa alle classiche angurie e oggi i consumatori la apprezzano per il suo colore intenso e per il suo sapore dolce e freschissimo, oltre che per l’alto contenuto di betacarotene. Stiamo parlando dell’anguria gialla biologica che viene coltivata da 15 anni dal produttore Giovanni Augello, dell’omonima azienda agricola biologica a Partanna (Trapani).
“Il colore giallo della polpa è molto evidente e i frutti presentano pochissimi semi non maturi che quindi non sono percettibili al palato – spiega Augello a IFN – tutte le angurie gialle presentano una taglia a metà tra le mini angurie e le angurie tradizionali e arrivano ad un peso massimo di 7/8 chilogrammi”.
E continua: “Coltiviamo le angurie gialle solo in campo aperto: utilizzando il metodo biologico, è più difficile controllare le delicate fasi di impollinazione e allegagione e l'ambiente della serra non è idoneo. Il gusto è davvero eccezionale perché più fresco rispetto all’anguria tradizionale, è lo stesso colore a contribuire all’idea di freschezza”.
Buoni anche i risultati commerciali: “I prezzi delle angurie gialle sono più alti del 15/20% rispetto alle angurie tradizionali. Un buon risultato considerato che hanno la stessa produttività delle angurie tradizionali” commenta Augello.
Il produttore sottolinea come i problemi dovuti alla siccità abbiamo inciso sull’attività aziendale. “Se oggi possiamo coltivare le angurie gialle, è solo perché abbiamo dimezzato la produzione in generale – sottolinea - per esempio quest’anno abbiamo messo in standby le nostre piante esotiche (avocado, mango, papaya). La siccità è un grande problema in Sicilia, che nessuno vuole affrontare in maniera completa e programmatica. Finiamo per comprare prodotti dall’estero quando avremmo la possibilità di fare qualsiasi cosa: è l’assenza delle infrastrutture a bloccarci”.
E conclude: “Per esempio, l’anno scorso abbiamo investito in un nuovo impianto di Pittaya (frutto del drago) e quest’anno abbiamo già raccolto i primi frutti. Se oggi non possiamo permetterci di coltivare i nostri prodotti, è solo perché mancano le strutture e i servizi. Ci servirebbero invece mezzi concreti per diminuire o eliminare tutte quelle variabili critiche che l’uomo può controllare, in primis l’acqua: anche questo è un modo per immaginare un futuro più sostenibile”. (am)
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