Attualità
Fiera o non fiera? Questo è il dilemma
Quanto si semplifica, ma cosa si rischia, senza una nostra manifestazione sull’ortofrutta
In questi giorni si sta consumando un dramma shakespeariano sul ruolo che il nostro Paese potrà svolgere nel panorama fieristico dell’ortofrutta a livello internazionale. Di fronte alla prorompente crescita di Fruit Attraction, tanto che si sta ormai contrapponendo a pieno titolo alla corazzata Fruit Logistica, ci si domanda se vi sia ancora uno spazio per una nostra manifestazione di respiro internazionale e il Presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, ha rotto gli indugi decretando il nostro de profundis e ha suggerito di ricompattare il sistema ortofrutticolo nazionale nella partecipazione a questi due eventi di riferimento per avere un ruolo di maggior rilievo all’interno degli stessi, senza più pensare ad una nostra Fiera. Quanto ha detto Salvi è certo venuto in mente a molti di quelli che erano a Madrid. Sono stato anch’io a Fruit Attraction e - fors’anche perché ero mancato lo scorso anno - confesso che sono rimasto impressionato sia dal flusso dei visitatori che dal livello degli espositori. Da qui ad abbandonare l’idea di una fiera italiana dell’ortofrutta però ne passa e vorrei tentare di contribuire al dibattito con alcune riflessioni.
1. Prima di tutto occorre considerare lo scenario di mercato in cui ci stiamo muovendo. In realtà, Fruit Logistica - compresa la branch Asia Fruit Logistica - e Fruit Attraction sono sempre cresciute negli ultimi anni - e anche lo stesso Macfrut li ha seguiti nell’ultima edizione - perché la domanda di servizi fieristici nel settore è in aumento per effetto della globalizzazione; ciò obbliga a pensare sempre più ai mercati internazionali e sempre meno a quelli domestici, per cui le imprese stanno investendo di più sulle fiere. Questo è il primo dato di fatto: si compete in un mercato che cresce e non in un mercato in contrazione, fare bella figura è decisamente più facile, poiché vi è spazio, anche se occorre fornire servizi di livello.
2. In secondo luogo occorre considerare quale è il valore strategico di una fiera nell’assetto del mercato di un settore. Fortunatamente qui abbiamo due esempi lampanti proprio nel nostro Paese. Il primo è il vino e il secondo è la moda. Malgrado i francesi siano leader mondiali su queste due aree di business, l’Italia contrappone due eventi fieristici di riferimento: il Vinitaly e le Settimane della moda. Guarda caso, l’Italia sta superando la Francia nel vino - non solo a quantità ma anche a qualità come testimoniano le cantine Ferrari, miglior Metodo Classico al Mondo nel 2015 proprio davanti ai francesi - mentre le tendenze sulla moda le detta ormai più Milano che Parigi, con tutti i vantaggi connessi in termini di possibilità di sfruttamento delle nostre distintività, tanto che l’artigianalità legata alla piccola dimensione qui non è un problema ma un valore.
3. Infine, pensare da leader aiuta a diventare leader. Alla metà degli anni ’90, con la nascita del marchio Zespri, criticai la decisione di importanti strutture produttive nazionali di realizzare kiwi per conto del colosso neozelandese. Il motivo non era certo legato alla buona remunerazione che ricevevano i produttori e che continuano tuttora a ricevere, poiché Zespri nel corso dell’ultimo decennio ha fatto diventare quest’esperienza di successo addirittura un caso di studio, ma perché sarebbe stato opportuno che il primo Paese produttore al mondo di kiwi e con grande necessità di esportazione studiasse una propria strategia per dare risposte ai propri produttori, magari prendendo esempio proprio dai neozelandesi, piuttosto che accontentarsi di una piccola opportunità. Dopo un decennio manteniamo il primato in quantità ma, senza leadership strategica, siamo ancora in ordine sparso sul mercato internazionale, mentre Zespri detta le regole.
Cari lettori, se condividete quanto ho scritto, credo che sarebbe opportuno riflettere accuratamente su quanto una nostra fiera di livello possa aiutare a far riacquistare al sistema ortofrutticolo italiano il ruolo che gli compete nello scenario internazionale. Non è un problema di spazi ma solo di visione e di organizzazione. Non è neppure un’idea nuova, l'avevo già palesata lo scorso anno su queste colonne (cliccare qui per leggere), di nuovo vi è solo il rischio che dall’assurda competizione per fare più eventi si passi alla pericolosa rassegnazione a non farne nessuno.