Non è solo inflazione, è l’immagine che manca all’ortofrutta

Botta e risposta con Salvo Laudani, Presidente Freshfel Europe

Non è solo inflazione, è l’immagine che manca all’ortofrutta

Caro Direttore,
all’inizio di ogni anno facciamo tutti una lista dei buoni propositi, di ciò che vorremmo realizzare, degli obiettivi da raggiungere sia nella vita privata che nel lavoro. 
Nemmeno noi che operiamo nel mondo dell’ortofrutta facciamo ovviamente eccezione. Tanto più perché siamo alle prese con problemi ormai divenuti sistematici che si impongono con l’evidenza dei numeri, quelli che ci dicono che siamo di fronte a un perdurante calo dei consumi di frutta e verdura non solo in Italia ma in molti paesi europei. Certo sappiamo bene quanto l’inflazione stia limitando il potere di acquisto delle nostre famiglie soprattutto a causa del caro energia. 
Eppure possiamo imputare soltanto ad essa la ragione di questa défaillance?
Cominciamo dal rapporto con i media: come dovremmo giudicarlo? L’ortofrutta gode di una buona immagine pubblica? Mi chiedo perchè quando si deve parlare di carovita, di inflazione si finisca spesso per utilizzare l’ortofrutta come una sorta di capro espiatorio fornendo immagini di prodotti ortofrutticoli a corredo di contenuti giornalistici, come se essi fossero la causa principale di certe spirali dei prezzi. 
Le speculazioni, quando ci sono, vanno smascherate e denunciate con forza. Smettendola, però, di essere monocordi e ripetitivi nell’attribuire torti per così dire unidirezionali. Purtroppo frutta e verdura vengono considerate care anche quando non lo sono per niente.
E non è questa l’unica percezione negativa che passa attraverso i media. A volte l’ortofrutta viene associata a pratiche fitosanitarie poco rispettose della salute dell’ambiente e delle persone oppure a fenomeni di lavoro irregolare. Ebbene, il punto non è quello di essere reticenti su certi fenomeni quando risultano conclamati, quanto però di saperne rappresentare l’entità rispetto all’ampiezza e alla molteplicità della realtà di cui sono parte.
Alla fine, penso che nessuno possa stupirsi se l’ortofrutta non risulti per così dire “popolare” alle fasce più giovani di responsabili di acquisto e se i consumi pro capite di frutta e verdura nel segmento degli under 35 sia ben al di sotto dei 400 gr al giorno suggeriti dall’OMS.

Sono quindi convinto che la perdita di volumi nel mondo dell’ortofrutta in Europa non dipende soltanto dall’inflazione e dal conseguente problema del carovita ma anche dall’immagine generale e dalla reputazione di cui settore e prodotti godono. 
La nostra capacità di comunicare deve essere potenziata e migliorata. Non sempre è adeguata a raccontare i punti di forza delle nostre produzioni. 
Inoltre, circa un terzo degli europei non mangia frutta e verdura tutti i giorni; se vogliamo che almeno una parte di essi lo faccia dobbiamo “parlare” di più con loro. Comprendendo anche i cambiamenti in corso nello stile di vita e nelle modalità di consumo dei prodotti alimentari. 
Ci sono, in questo senso, realtà importanti della ristorazione che stanno crescendo “double digit” e che includono anche i consumi di ortofrutta nella loro crescita impetuosa. Strumenti importanti come le denominazioni protette non solo sono sottoutilizzati ma a volte rappresentano un paradosso, come in Francia dove proprio i prodotti ortofrutticoli DOP e IGP appaiono particolarmente penalizzati sul mercato.
La spesa in comunicazione realizzata con i piani operativi delle OP è molto limitata rispetto al loro budget. E gli investimenti in comunicazione delle grandi imprese ortofrutticole in Europa sono ben poco cosa rispetto al valore del mercato dell’ortofrutta (secondo una valutazione di Freshfel, 600 milioni di euro rispetto ad un mercato che vale almeno 200 miliardi). Briciole se si pensa a quanto investono le imprese del food, anche il 10% del loro fatturato. Imprese del food che a volte usano impropriamente l’immagine della frutta per descrivere prodotti trasformati che tra i loro ingredienti di frutta ne contengono poco o talvolta niente (vedi la ricerca di Freshfel “Dov’è la frutta” del 2017).

CONSUMI, REPUTAZIONE, COMUNICAZIONE, SOSTENIBILITÀ’ SONO TUTTE TESSERE DELLO STESSO MOSAICO.
Occorre un cambiamento, serve un grande sforzo del settore, supportato dalla UE, che sappia raccontare bene se stesso. Come, ricordo, seppero fare negli anni 80’ in Italia i produttori di birra (ricordate Renzo Arbore ed il claim “Meditate gente meditate”), o di zucchero (“Lo zucchero è pieno di vita”) o recentemente del vetro (Elio e le Storie Tese testimonial a supporto del suo riciclo).

CAMBIAMO REGISTRO. METTIAMO IN EVIDENZA COSA GIA’ ADESSO STANNO FACENDO LE IMPRESE DELL’ORTOFRUTTA SUI TEMI PIÙ’ SENSIBILI, come global warming ed impatto ambientale, questioni che stanno particolarmente a cuore ai più giovani.

L’ORTOFRUTTA DEVE ESSERE PIÙ FASHIONABLE
Essa, come ripetiamo spesso, è una soluzione a tanti problemi; ma è alle prese con difficoltà molto grandi che rischiano di minarne le prospettive future.

Salvo Laudani

Caro Salvo, noto con piacere che – pur senza esserci sentiti – stiamo vivendo le stesse preoccupazioni. Proprio nell’editoriale di ieri (clicca qui per leggere la notizia) sollevavo il tema dell’attrattività della nostra ortofrutta. Nell’era dove solo gli schermi sono sempre più grandi (basta guardare le ultime auto), mentre tutto il resto viene miniaturizzato e confezionato con cura, noi continuiamo con il break bulk, come si fa oramai solo con la ghiaia e gli altri inerti. Persino la carbonella per il BBQ è in confezione richiudibile per contrastare l’umidità! Qui serve, come dici, un cambio di paradigma. Non basta e, aggiungo io, non è sempre opportuno, sostituire plastica con cartone, serve usare le confezioni per creare valore. Banalmente preservando il prodotto e raccontandolo. Sembra ovvio ma servirebbe avere un prodotto adeguato da preservare e non è sempre così. Ma questa è un’altra storia. Anche sull’ambiente occorre muoversi in modo strategico, non sull'opportunità del momento. Chi produce acqua minerale lavora sulla riciclabilità della plastica e non sulla demonizzazione, sapendo di non avere alternative economicamente sostenibili. Noi dovremmo fare altrettanto sugli agrofarmaci (visto il contesto uso questa definizione ma rimangono “pesticidi” per i consumatori anche se non vogliamo accettarlo). Personalmente, ad esempio, non sono né pro né contro il residuo 0, sono per un approccio strategico che consenta la costruzione di una categoria se è possibile, se no è un suicidio. 
Sul tema canali di vendita scontiamo scarsa preparazione fuori dai tradizionali circuiti del retailing, come evidenzi. E anche sul dettaglio non è che abbiamo ben chiaro come approcciare i nuovi “supermercati essenziali” o “discount all’italiana” che dir si voglia.  È un peccato ma nessuno vuole studiare, tutti vogliono fare e, senza adeguata preparazione, i risultati sono quelli che evidenzi. La pandemia ha reso più difficile la formazione ma le richieste vengono sempre dai soliti noti, quelli che ne avrebbero meno bisogno.
Per la comunicazione vale lo stesso problema, non c’è cultura che accompagni la coltura. Forse non si apprezza nemmeno la differenza. Ho due stereotipi di operatore che incontro con frequenza: quello che vuole andare in televisione con un budget di poche centinaia di migliaia di euro e solo per l’anno in corso, che si contrappone a quello che non ci vuole andare perché non serve, convinto che oggi sia meglio usare i social. Al primo suggerisco sempre l’acquisto di una proprietà immobiliare come alternativa alla televisione e al secondo di andare a scuola di marketing e comunicazione, soluzione che – comunque - raccomando anche al primo. Così mi rendo antipatico, lo so, ma quando si è così lontani dalla strada maestra serve una doccia gelata per sperare di riuscire a far cambiare la curva di esperienza. Oggi l’alimentare italiano di marca investe in media il 10% del fatturato in comunicazione, l’ortofrutta meno del 3% e si lamenta perché non è percepita in modo adeguato, come tu sottolinei. Sarebbe strano il contrario, non trovi? Nutella e amici sarebbero degli sprovveduti. Vista l’importanza del tema, quest’anno voglio però dedicare alla comunicazione dell’ortofrutta, anzi al “racconto dell’ortofrutta” lo Speciale Frutta & Verdura di fine anno. E, vista la sollecitazione, colgo l’occasione per invitarti sin da ora a fare un approfondimento sul tema insieme a me, magari per tentare un passo avanti coinvolgendo anche le Istituzioni. Spero vorrai accettare.

Roberto Della Casa