«Morìa kiwi, indispensabili nuovi portinnesti»

Procacci (Op Zeoli): «La malattia sta flagellando il Lazio»

«Morìa kiwi, indispensabili nuovi portinnesti»

I kiwi verdi italiani sono costretti a sgomitare a causa della Grecia che sta aumentando la sua produzione. In più quest’anno il frutto ellenico a livello produttivo sembra aver sofferto meno di quello italiano, in balia della moria.
 

“Nel Lazio in particolare a causa del caldo torrido scontiamo calibri piccoli e maggiori difficoltà nello sviluppo della qualità. Anche la morìa determina una produzione inferiore. Nella nostra regione circa la metà degli ettari è andata persa a causa della malattia e la restante metà non è tutta agronomicamente sana”, spiega a IFN Gianni Procacci, tecnico dell’Op Zeoli Fruit di Cisterna di Latina, specializzata nella produzione e distribuzione di kiwi a livello nazionale che internazionale. “In queste condizioni la Grecia mette paura perché immette sul mercato un prodotto a prezzi inferiori, aumentando la propria voce in capitolo sui mercati europei ed extraeuropei”
 

A questo panorama non roseo si aggiunge il tema dei rincari. “Produrre costa sempre di più. Bollette elettriche, caro carburante, fertilizzanti. I margini di guadagno si fanno sempre più sottili. Se 5/6 anni fa produrre un chilo di kiwi costava 35-40 centesimi, ora siamo abbondantemente sopra i 50 centesimi”. 
 

Per contrastare il fenomeno che sta dando filo da torcere ai produttori di tutto il Paese si stanno pensando a diverse soluzioni, ma finora nessuna si è rivelata efficace. “È difficile scoprire quale sia il fattore che incide in primis e quindi procedere con il debellamento dei patogeni che stanno trovando sempre più appetibile il nuovo clima più siccitoso”.
 

Tre le alternative non si esclude quella di cambiare coltura, ma il rischio per Procacci è quello di trovarsi in una situazione ancora peggiore. “Quale specie possiamo piantare per sostituire l’actinidia?”, si chiede il tecnico che disegna uno scenario pessimistico: “Le pesche non si vendono più e anche le pere e le mele hanno le loro difficoltà. L’unica produzione immune dai problemi era il kiwi, ma da una decina di anni diventa sempre più complicata”.

Il futuro secondo l’agrotecnico è l’adozione di nuovi porta innesti. “Ora viene utilizzato Bounty 71, di origine neozelandese, ma non è resistente alla moria, per questo bisogna pensare a nuovi apparati radicali come è stato fatto con le pesche e la vite americana. Questo implica però del tempo, perché ci vogliono almeno 7/8 anni per avere la risposta riguardo alla resistenza alla fitopatia. Inoltre, questo tipo di nuovi investimenti comporta una selezione aziendale. Le realtà amministrate da vecchie generazioni sono meno ricettive nei confronti dei cambiamenti, per questo lo scenario è abbastanza negativo”.

C’è però una luce in fondo al tunnel. “Il Pnrr se usato bene può darci una grossa mano  -conclude Procacci -. Ci dà infatti la possibilità di fare investimenti importanti anche in termini di fonti alternative per la produzione di energia elettrica, riducendo le bollette”.