Iva zero su pane e latte. E l'ortofrutta?

Quando servono le lobby di settore non ci sono mai

Iva zero su pane e latte. E l'ortofrutta?

Nel balletto dei beni a cui dovrebbe essere azzerata o ridotta l'Iva, l'ortofrutta non c'è nemmeno finita per sbaglio. A pane, latte e (forse) pasta il Governo vorrebbe applicare l'imposta zero, mentre si valuta un taglio per assorbenti e pannolini. Per combattere gli effetti dell'inflazione e il carovita a Roma stanno pensando a misure eccezionali, i politici lavorano persino al bonus matrimoni – però pare solo per cerimonie religiose riservate agli under 35 – ma che ce ne fosse uno che considera frutta e verdura... A dir la verità non c'è nemmeno nessuno che glielo ricorda.

Dove sono finite le lobby dell'ortofrutta? In un momento cruciale come questo servirebbero come il pane, tanto per restare in tema. Oggi ci sarà il Consiglio dei Ministri e si dovrebbero conoscere i provvedimenti da inserire nella Legge di Bilancio.

Se l'ortofrutta nemmeno questa volta è finita al centro del dibattito, la questione è grave. E lo dicono i numeri di Ismea: il settore al consumo vale più di pane, pasta e latte messi insieme, è un baluardo della dieta mediterranea, una bandiera della sana alimentazione, ma nessuno pensa di incentivarne gli acquisti. Meglio tagliare l'Iva sui carboidrati che sulle vitamine...

Lo scorso anno gli italiani hanno speso 87,3 miliardi di euro per i consumi alimentari e, sempre secondo Ismea, nei primi sette mesi dell'anno in corso la spesa è cresciuta del 4,6% sul 2021: i derivati dei cereali hanno fatto segnare un più 8,9%, il latte il 4,1%, mentre gli aumenti della verdura e della frutta sono stati rispettivamente del 3,7 e del 3,2%.

La manovra sull'imposta sul valore aggiunto potrebbe quindi premiare il latte, che tra prodotto fresco e a lunga conservazione vale il 2,5% della spesa alimentare, quindi circa 2,5 miliardi, un valore che lo scorso anno è diminuito del 4,5%. Il pane (con i suoi sostitutivi) si attesta a circa il 5% degli acquisti alimentari, poco meno di 4,5 miliardi, in crescita dell'8% nel 2021; mentre la pasta rappresenta un altro 2,5% della spesa, quindi circa 2,5 miliardi, in calo del 5% lo scorso anno. Frutta fresca, in guscio e gli agrumi valgono invece il 7,2% del carrello – pari a circa 6,2 miliardi – mentre ortaggi freschi, legumi, IV Gamma e patate il 7,8%, cioè 6,8 miliardi.

Incentivare una fonte proteica come il latte rispetto a una fonte di carboidrati come pane o pasta ci può stare, ma non si capisce perché escludere l'ortofrutta. Quasi tutte le diete consigliano di riempire metà del piatto con ortaggi e frutti: se guardiamo la questione dalla parte dei consumatori, dovremmo mettere in atto azioni che possano indurli a mangiare bene e meglio (ne guadagnerà la loro salute e anche il bilancio della sanità pubblica sul lungo periodo).

Ma anche se analizziamo la questione come sistema Paese, dal punto di vista della politica economica nazionale il mancato incentivo all'ortofrutta non ha molto senso. Il frumento tenero ha un grado di approvvigionamento del 38% (tutto il resto lo importiamo, per capirci), il frumento duro del 65% e il latte dell'84%, stando sempre ai dati di Ismea. Per gli ortaggi si arriva al 99% mentre per la frutta al 119%, cioè produciamo più di quello che siamo in grado di mangiare. In un momento in cui si parla tanto di sovranità alimentare non sarebbe logico premiare quelle filiere che generano più ricchezza all'interno del nostro Paese?

Vien proprio da chiedersi chi, in un momento come quello che stiamo vivendo, difenda i legittimi interessi di un settore così strategico come l'ortofrutta.