«Io rimango, non mi rassegno all’estinzione»

Voce a un giovane che vuole investire nell’ortofrutticoltura

«Io rimango, non mi rassegno all’estinzione»

Buongiorno, mi chiamo Francesco e, come ho scritto nell'oggetto della mia mail, sarò un futuro agricoltore.
In verità, la mia è un’azienda che ha quasi 70 anni di attività tramandata di generazione in generazione. Parlo di futuro perché forse il 2023 mi porterà in dote, nonostante ne abbia fatto domanda 5 anni fa, il premio di primo insediamento.
E quindi, dopo un bel po' di anni, posso pensare di programmare il futuro. In realtà è una cosa che faccio da sempre ma oggi per me è sempre più difficile farlo.
Le scrivo perché con un po' di presunzione le volevo dare uno spunto per qualche articolo. Lo faccio perché nei giorni scorsi, scorrendo come tutte le mattine la rivista, ho letto l'articolo dove il ministro Lollobrigida esclamava che la Grande Distribuzione è strategica per il nostro paese e ho pensato:
1. credo che sia la maggiore responsabile del disastro dell'agricoltura italiana;
2. bisognerebbe ripensare i finanziamenti Europei che oggi più che un’opportunità sono diventati una droga per il settore.
Credo che il mio settore, fatto di piccole imprese sparse su tutto il territorio, non possa e non potrà trarre giovamento da questa politica di settore. Anzi penso, e ne sono convinto, che oggi l'agricoltura in Italia sia alla frutta. Sono sicuro che la mia lettera non sembrerà troppo lucida ma esprime il pensiero che accompagna ogni piccolo agricoltore quando ogni giorno si avvia verso la propria azienda.
La saluto e mi auguro che possiate trovare spunto per scrivere qualche articolo e dare voce a noi piccoli (e forse destinati all’estinzione) agricoltori.

Caro Francesco, in quanto scrive non trovo nulla di presuntuoso ma, semmai, la chiara voglia di trovare una strada percorribile per darsi un “futuro” che sia degno di quel nome e non vivacchiare fra contributi e vessazioni sul fronte commerciale. Mi sono permesso di parafrasare le Sue parole nel titolo perché è chiaro che Lei non vuole rassegnarsi all’estinzione. Questa vitalità (oramai rara) giustifica ampiamente la sua analisi un po’ troppo severa sulla responsabilità tout court della distribuzione moderna nello stato del settore. Il tema è complesso e non è corretto liquidarlo così ma per alcuni aspetti devo dire che Lei non ha tutti i torti.
Trovo invece, lucidissimo – almeno dal mio punto di vista – il ruolo che Lei attribuisce alla politica agricola comunitaria nella vita delle imprese agricole e delle loro organizzazioni. Quando si arriva a progettare cosa fare in azienda sulla base dei finanziamenti che Bruxelles mette a disposizione, e non il contrario, si è già sulla strada del declino. Abdicare l’organizzazione dell’impresa e la sua strategia a tecnocrati può essere una buona idea nel breve periodo, mai nel medio-lungo, proprio perché la tecnocrazia cambierà indirizzi e strategia mentre l’impresa non potrà farlo con la stessa duttilità. Lei parla giustamente di piccole imprese come tessuto della nostra agricoltura, che è un limite solo se non sappiamo metterlo a valore, se no è una straordinaria ricchezza di saper fare che nessuna grande azienda potrà diffondere fra i suoi dipendenti con pari forza. Diventa una debolezza quando non sappiamo organizzare le imprese alle mutate condizioni di mercato che, volenti o nolenti, dobbiamo accettare perché non possiamo cambiarle. Pensi solo a Conad, per rimanere in tema, oggi è il primo gruppo distributivo in Italia; è costituto da più di 2.200 dettaglianti associati, come sottende l’acronimo (COnsorzio NAzionale Dettaglianti), che a partire dal 1962 hanno messo in comune prima i loro negozi sotto la stessa insegna, poi i prodotti sotto la stessa marca e, infine, la comunicazione (oltre 30 milioni di euro investiti nel 2022, più di tutta l’ortofrutta messa insieme). Oggi, però, con questa dimensione di scala sono diventati un interlocutore con cui le singole imprese agricole non possono più dialogare in modo isolato. Solo dove gli agricoltori si sono aggregati con la stessa logica, purtroppo pochi casi che non vale più la pena di citare, sono in grado di produrre reddito vendendo i loro prodotto e, oggi, hanno un “futuro”, certo difficile ma sostenibile.

Francesco non si rassegni, un futuro c’è e il solo fatto che Lei lo possa immaginare e seguire da quanto scriviamo sarebbe per noi fonte di soddisfazione. La PAC e l’OCM dovrebbero essere il volano di aggregazioni virtuose, non di sigle, che permettano agli agricoltori come Lei di proseguire la loro attività con soddisfazione.


In bocca al lupo
Roberto Della Casa