«Frutticoltore, perché lo faccio nonostante tutto»

La risposta di un produttore da generazioni

«Frutticoltore, perché lo faccio nonostante tutto»

Riportiamo una lettera che ci è giunta da un nostro lettore, nonché frutticoltore romagnolo, il sig. Gaspare Conti, stimolato dall’articolo uscito pochi giorni fa (clicca qui per leggere) e che non necessita di risposta.
Buona lettura

Gentile Fabrizio,
ho letto il suo articolo in merito “a chi ce l’ha fatto fare”, ed utilizzo il noi, poiché appartengo per l’appunto alla categoria dei frutticoltori da circa 60 anni, e vorrei scriverle qualche considerazione.
Quando ho iniziato non mi sono posto il problema di chi me l’avesse fatto fare perché, essendo nato in una famiglia di contadini, era normale che lavorassi i campi, così come avevano fatto mio padre e mio nonno prima di lui. La fatica non è certo mai mancata, ma in questo lavoro se non ti piace far fatica è meglio che cambi mestiere, senza dimenticare che gli sforzi di un anno intero possono essere distrutti in pochi istanti da una brinata o da una grandinata. 
Tanta fatica e risultato incerto non sono certo presupposti fra i più incoraggianti, tutt’altro; però, la soddisfazione di raccogliere i frutti da piante che trattiamo forse meglio dei nostri stessi figli dopo un anno di fatiche, è impagabile. 

Probabilmente proprio questo attaccamento alla terra e alle nostre colture ci fa andare avanti anche in annate sfortunate che purtroppo sono sempre più frequenti. Come scrive Lei nel suo articolo, sembra quasi che ci sia un accanimento divino confermato dalle forti piogge che stanno devastando le aziende dei miei colleghi nei territori del ravennate.
Allora sì, è vero che ultimamente viene da chiedersi “ma chi ce l’ha fatto fare?”. Alla fin fine non biasimo nemmeno i miei figli che non vogliono mandare avanti la nostra azienda agricola avendo intrapreso altre strade, per cui il lavoro che ha mantenuto da sempre la mia famiglia molto probabilmente morirà con me.
Ma è anche vero che mi piacerebbe che la memoria storica, le tradizioni, la conoscenza imparata sul campo, che fa anche parte della cultura di un territorio, non si perda negli anni solo perché è mancato il coraggio di investire in politiche ed incentivi a supporto di una attività da sempre poco considerata, ma che dà letteralmente da mangiare alle persone.

Un caro saluto 

Gaspare Conti