«Aglio, produzione ridotta ma calibri buoni»

Delfanti: «L'Italia ha perso il 30% ma anche agli spagnoli non va meglio»

«Aglio, produzione ridotta ma calibri buoni»
L’aglio vive un periodo complicato nel nostro Paese. La raccolta è terminata a fine luglio dopo una campagna non ottimale a causa della morsa del caldo che ha attanagliato la penisola da nord a sud già a maggio, ma anche la domanda attualmente non è delle migliori e la frigoconservazione è sempre più costosa. 

“Ma non tutto il male viene per nuocere, perché se da un lato il lungo periodo siccitoso ha generato rese deficitarie, qualità e calibro ci hanno guadagnato”, spiega a IFN Francesco Delfanti, responsabile commerciale di Delfanti, azienda piacentina che da oltre 50 anni coltiva, lavora e commercializza cipolle, aglio e scalogno. 



Anche per i competitor spagnoli non va meglio: “La riduzione della produzione italiana è stimabile attorno al 30% perché l’irrigazione non è stata possibile ovunque. In alcune parti d’Italia, infatti, mancava l’acqua per garantire un adeguato nutrimento in fase di crescita del prodotto. Anche la Spagna – prosegue Delfanti – quest’anno deve fare i conti con una riduzione del 30%. Nel loro caso però, è stata minata anche la qualità e il calibro, che risulta più piccolo della media”.



Se la passa meglio la Cina, principale produttore mondiale, che si trova nella fase conclusiva di commercio. Secondo i dati doganali, le esportazioni hanno superato per la prima volta le 200mila tonnellate. “La Cina però ci fa poca concorrenza in Europa – sottolinea Francesco Delfanti – perché l’export è più riferito a Stati Uniti e Brasile”. 



Per ora la richiesta di aglio italiano non è eccessiva ed è in linea con lo scorso anno. “Con i consumatori che stanno rientrando dalle ferie si è notato una crescita degli ordini, ma fino a sabato i volumi di vendita sono stati pochi – continua il direttore commerciale di Delfanti –. Confidiamo molto nell’autunno e che la richiesta sia favorita da un’offerta limitata”.  
A incombere sui produttori c’è anche il caro energia. “Il prodotto va immagazzinato per 12 mesi, ma il costo dell’energia è triplicato e se prosegue in questa direzione diventa insostenibile”.

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