L'illusione dell'esotico

Boom di coltivazioni, ma il troppo caldo danneggia anche loro

L'illusione dell'esotico
Cresce l’interesse per i prodotti a km Zero e negli ultimi anni tra questi rientrano, ebbene sì, anche i frutti tropicali, che trovano terreno fertile soprattutto in Sicilia, ma anche Calabria e Puglia.

Qui secondo una stima di Coldiretti sono circa mille gli ettari dedicati a queste colture, raddoppiando la produzione in meno di tre anni. Ma non è tutto oro quello che luccica ci spiega in queste righe Vittorio Farina, docente di frutticoltura tropicale e subtropicale dell’Università degli Studi di Palermo. 



“Negli ultimi anni le temperature sempre più alte dovute al cambiamento climatico e l’elevata redditività degli impianti hanno invogliato i produttori a lanciarsi su colture non autoctone come avocado, mango, papaya, litchi e maracujà che crescono in luoghi dal clima tropicale, ma coltivarle in clima Mediterraneo non è così semplice dato che questi frutti hanno esigenze particolari che se non vanno attenzionate compromettono rese e qualità dei frutti".

Le condizioni ideali per la crescita dopotutto non sono certo in Italia ma nei loro areali di origine, anche se in Sicilia, dove la coltivazione è maggiormente concentrata, non mancano le aree vocate dove si ottengono produzioni di eccellenza. “Questi frutti sono sensibili alle condizioni estreme del clima Mediterraneo come i freddi invernali. Necessitano infatti di inverni miti con temperature minime non inferiori ai 4 gradi e soprattutto l’irrigazione nei mesi caldi – sottolinea ancora Farina -. Per fortuna, in Sicilia le aree maggiormente vocate alla frutticoltura tropicale sono nelle zone della costa Tirrenica, ad esempio, in provincia di Messina dove alle spalle degli impianti insistono i monti Nebrodi o la costa ionica con l’Etna, ovvero zone ricche di acqua, non certamente aride. In più, gli impianti vengono gestiti con tecniche di irrigazione a goccia e precision farming, con l’acqua che viene centellinata in base alle esigenze effettive della pianta”. 



Le “nuove” colture, i cui primi studi in Sicilia risalgono agli anni ’60, nei tropici hanno un comportamento, mentre qui ne hanno un altro. “Il passaggio tra una terra e l’altra è possibile perché le piante si adattano, come hanno fatto anche gli agrumi, a cui i frutti esotici si stanno affiancando. Questo passaggio però non è indolore. In alcuni casi funziona come per avocado, mango e papaya, ma con particolari attenzioni agronomiche come la protezione dal freddo. Anche per questo è difficile fare un censimento delle superfici, perché mentre alcuni impianti nascono, altri ne muoiono”.

Anche queste colture, come tutte le altre, si trovano a dover fare i conti con le fitopatie. “Al momento sono poche, ma il settore dell’assistenza tecnica deve assolutamente crescere e per farlo deve implementare l’assistenza agli agricoltori che spesso non sanno come affrontare malattie fungine o insetti dannosi”.  



La domanda di frutta esotica è particolarmente alta, ma la produzione non è sufficientemente elevata per esaudire la richiesta: “L’interesse non manca sia da parte del mercato europeo che da quello italiano – continua il professore -. In particolare, i consumatori italiani sono orientati verso i prodotti tropicali siciliani perché rincorrono al km Zero, maturano all’albero, sono spesso biologici e hanno un’impronta carbonica leggera. Queste produzioni, sebbene crescano in maniera esponenziale, però, sono destinate a rimanere limitate agli areali vocati sebbene si stiano studiando strategie per allargare le aree di coltivazione”.

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