Resi svenduti, pericoli in vista

Prodotti di marca a prezzi stracciati nei mercati ambulanti: i rischi

Resi svenduti, pericoli in vista
La prima volta che lo vedi pensi sia un caso, una semplice coincidenza. Quando il fatto si ripete per la seconda volta la casualità inizia a destare qualche timido sospetto, ma se poi si ripete per una terza, una quarta... fino a diventare una costante dell'offerta ortofrutticola, beh, non si può più parlare di circostanza isolata ma di una vera e propria (cattiva) abitudine.

Parlo di frutta e verdura brandizzata nel suo imballo originale, quella che solitamente si trova nei reparti ortofrutta della distribuzione moderna, ma che ormai a fine vita e con la shelf-life agli sgoccioli se non oltre, la ritroviamo poi nei mercati rionali letteralmente svenduta.

Nelle ultime settimane, nel monitorare il dettaglio tradizionale itinerante su suolo pubblico, mi sono imbattuto spesso e volentieri in merce di marca – dalle banane ai meloni, dalle mele alle arance – proposta prezzi irrisori, da 0,50 a 1 euro il chilo.



Di primo acchito mi son chiesto perché mai un fornitore dovrebbe fare tanta fatica per costruire il proprio brand, investire tempo e risorse nello sviluppare un prodotto di qualità, per poi svilirlo in questo modo. E poi, che messaggio si manda al consumatore!

Però questa è solo l'apparenza, la prima istintiva reazione. Probabilmente la vera spiegazione è un'altra come mi hanno suggerito diversi operatori. Quella merce venduta a quotazioni stracciate diciamo che è da considerarsi di seconda mano: inizialmente destinata alla distribuzione moderna, qualche piattaforma della Gdo l'ha rispedita al mittente e il reso viene così “smaltito” in questo canale commerciale. Oppure può arrivare dal grossista con merce in esubero che, per le più svariate ragioni, la svende ai dettaglianti senza nemmeno farlo sapere al produttore.

Ma è mai possibile che una partita di merce respinta da un distributore per mancanza di parametri qualitativi – cosa che può succedere, sia chiaro - finisca poi in un altro canale di vendita dove però le precedenti rimostranze su sapore, colore o grado di maturazione non sono più un problema?

A quanto pare è proprio cosi e il fenomeno riguarda anche il prodotto a marchio del distributore: merce bollinata con il marchio dell'insegna che si ritrova al mercato rionale, ovviamente a prezzi fortemente ribassati. I resi di un canale, quindi, alimentano il mercato di un altro.

Il punto, però, è il percepito del consumatore. Chi si affida a un brand lo fa perché nutre fiducia nella marca, che dovrebbe garantire la qualità. Ma se poi questa si rileva scadente, anche se la referenza è stata acquistata a basso costo, il rischio dell'effetto boomerang è dietro l'angolo. Non si tratta di essere schizzinosi davanti a un difetto: se il prodotto è scadente ma è contraddistinto dal brand, la vendita a basso costo non risolve il problema.



Cercare di recuperare un reso è comprensibile, soprattutto in questo contesto dove i costi produttivi sono schizzati alle stelle, ma l'attenzione alla difesa della marca dovrebbe essere prioritaria: sostituire gli imballi, eliminare i bollini, trovare una seconda vita al prodotto senza inquinare il brand dovrebbe essere un must. Perché se nel breve termine si recuperare qualche centesimo, alla lunga i consumatori potrebbero non essere più disponibili a riconoscere valore al brand. Anche quando frutta e verdura così contraddistinta è di qualità.

Ma non è tutto. In una situazione di mercato stagnante come quella che stiamo vivendo, i casi di merce respinta per diversi motivi dalla grande distribuzione potranno essere tanti: quindi si deve perlomeno cercare di non creare danni ai marchi e minare il futuro dei marchi. La marca in ortofrutta ha già i suoi problemi di notorietà e riconoscimento del valore, tirarsi la zappa sui piedi in questo modo è davvero controproducente.

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