Fragole, come migliorare il post raccolta

Il prof Colelli: «La qualità si ottiene, ma non si vende. La tecnologia aiuta»

Fragole, come migliorare il post raccolta
Spesso la qualità si ottiene ma non si riesce a comunicarla e, quasi sempre, non si riesce nemmeno a venderla, nel senso che l’estremo sforzo effettuato per ottenerla non viene remunerato”. Con queste parole ha iniziato il proprio intervento Giancarlo Colelli, professore dell’Università di Foggia, riguardo la qualità di fragole, piccoli frutti e, più in generale, dei prodotti ortofrutticoli, in occasione del webinar “Fragole e Berries” organizzato da Lameta consulting. L'esperto ha illustrato i vantaggi che possono apportare le nuove tecnologie nella soluzione del problema, in particolare l’uso di CO2 e freddo in conservazione post-raccolta e della spettrometria NIR nella determinazione della qualità.



Il prof Colelli, in collaborazione col prof. Martelli, ha condotto degli studi sul prolungamento del mantenimento della qualità nel post raccolta tramite la conservazione a basse temperature ed in presenza di elevati livelli di CO2 e basse temperature, ottenendo buoni risultati su vari prodotti come fragole, piccoli frutti, goji, mele, pere, uva, melograno... La CO2 inibisce la respirazione cellulare del prodotto, che si conserva più a lungo, e anche di molti funghi e batteri che non si sviluppano in un ambiente sfavorevole, mentre la bassa temperatura rallenta la divisione cellulare. “Quando abbiamo a che fare con alimenti freschi, parliamo di prodotti che non subiscono trattamenti azzeranti della microflora batterica o dei residui, per questo è importante anche la qualità sanitaria e la conservazione della qualità nel post-raccolta”, spiega Colelli.


La tecnologia utilizzata per consentire il controllo della qualità in modo non distruttivo, così da non perdere prodotto, e sicuro è la spettrometria nell’infrarosso vicino, o NIR, che consente di ottenere una sorta di fotografia chimica del frutto, per prevedere la sua composizione interna e determinarne la qualità. In pratica si sottopone un alimento ad una fonte luminosa e si registra come esso la assorbe o riflette, successivamente si utilizzano algoritmi di correlazione tra la risposta luminosa e le componenti dell’alimento e si determina la % in cui ogni componente è presente in esso.

L’esperimento ha avuto successo su una partita di fragole miste, con una precisione del 98%. Risultati incoraggianti si sono avuti anche su rucola, pomodoro, goji, dove è stato addirittura possibile determinare il contenuto di vitamina C, e anche nel riconoscimento varietale, come nel caso dei carciofi delle varietà Violetto e Catanese. Anche l’analisi di prodotti confezionati ha dato buoni riscontri, è stato infatti possibile determinare la qualità degli alimenti, eliminando tramite un apposito software il “rumore” generato dalla confezione. “L’esperimento condotto da Muhammad Mudassir Arif Chaudhry, dottorando della prof.ssa Maria Luisa Amodio, ha dimostrato che in questo modo è possibile sia determinare la qualità al momento della raccolta, sul prodotto sfuso, che al termine della distribuzione, presso i rivenditori, quando il prodotto è già confezionato”, chiarisce Colelli.

La stessa tecnologia può essere utilizzata per determinare la qualità degli imballaggi, oltre che dei prodotti. “Stiamo cercando di promuovere le confezioni sostenibili nell’ottica di un’economia circolare, vedendo come il NIR risponde coi diversi materiali impiegabili e se riesce a riconoscerli efficacemente”, spiega Colelli.

“Oggi c’è maggior attenzione al consumo, all’ambiente e alla salute, girano anche molte fake news e c’è un boom di vegetarianesimo. La filiera agroalimentare deve inserirsi in questo scenario e ha molte carte da giocare - conclude Colelli - La tecnologia ha un ruolo chiave nel formulare le risposte alle domande del comparto”.

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