Puglia, blitz anti caporalato. Indagata moglie del Prefetto

Puglia, blitz anti caporalato. Indagata moglie del Prefetto
Trattati come schiavi, piegati a raccogliere pomodori nei campi anche 13 ore al giorno per pochi spicci e costretti a vivere in condizioni precarie nella baraccopoli di Borgo Mezzanone, a Manfredonia. Vittime dei caporali e di imprenditori senza scrupoli. Tra questi, secondo la Procura di Foggia, anche la moglie del prefetto e capo del Dipartimento per l'immigrazione del ministero dell'Interno, Michele di Bari, che si è subito dimesso. Un blitz scattato lo stesso giorno in cui Papa Francesco si è scagliato contro il caporalato.

Rosalba Bisceglia, indagata con obbligo di firma e di dimora in quanto socia e amministratrice di una delle aziende coinvolte, è accusata di aver utilizzato manodopera procurata dai caporali. Per i pm era «consapevole delle modalità di reclutamento» e delle «condizioni di sfruttamento» a cui venivano sottoposti i braccianti approfittando del «loro stato di bisogno». Con lei sono finiti nei guai i titolari di altre nove imprese, con un volume di affari complessivo di 5 milioni di euro l'anno

Rosalba Bisceglia, la moglie del capo del Dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Viminale Michele di Bari, impiegava nella sua azienda "manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie" per la coltivazione dei campi. Lo scrive il Gip del tribunale di Foggia nell’ordinanza. La donna "sottoponeva consapevolmente i lavoratori alle condizioni di sfruttamento", desumibili "anche dalla condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro) e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie". Secondo il magistrato, ha dimostrato "elevata 'professionalità' nell’organizzare l’illecito sfruttamento della manodopera". Bisceglia è le 16 persone indagate nell’inchiesta per caporalato dei carabinieri e della procura di Foggia che ha portato all’arresto di cinque persone, due delle quali in carcere. L’operazione ha portato in carcere due persone, un senegalese e un gambiano: altre tre sono agli arresti domiciliari. Per altre undici è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Per tutti le accuse sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Le dichiarazioni di Michele di Bari
"Desidero precisare che sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità - ha commentato Michele di Bari - Mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati".

L’inchiesta: 5 euro per ogni cassa riempita
L’operazione è stata portata a termine dai carabinieri della compagnia di Manfredonia (Foggia) e dal nucleo dei carabinieri dell’Ispettorato del lavoro. Il periodo sotto indagine riguarda fatti accaduti tra luglio e ottobre del 2020. Nel corso delle indagini è stato chiesto l’assoggettamento al controllo giudiziario di dieci aziende agricole riconducibili ad alcune delle persone coinvolte nell’operazione. Per Bisceglia è stato disposto l’obbligo di firma. Nelle carte dell’inchiesta si trovano racconti di lavoratori costretti a turni di 13 ore al giorno sui campi di pomodoro del foggiano per cinque euro per ogni cassa riempita. L’attività di intermediazione era gestita da un cittadino gambiano di 33 anni. Lui annotava su un quaderno le quantità di prodotto raccolto e li riportava sui mezzi precari e di fortuna nell’accampamento di Borgo Mezzanotte.

L’inchiesta rappresenta il proseguo dell’operazione “Principi e Caporali” che nell’aprile scorso ha portato all’arresto di 10 persone e al controllo giudiziario di alcune aziende agricole. Nelle campagne di Manfredonia in provincia di Foggia dove operava una azienda agricola di Trinitapoli (Barletta – Andria – Trani) i militari si sono imbattuti nei braccianti stranieri impiegati senza rispetto dei contratti di lavoro, delle norme di sicurezza sui luoghi di lavoro e in condizioni igienico – sanitarie precarie. Gli agricoltori avevano consegnato i loro documenti al presunto caporale che – a loro dire – si sarebbe occupato dei contratti e degli stipendi. Con lui un 32enne senegalese che avrebbe fatto da anello di congiunzione tra le imprese agricole del territorio, una decina, e i braccianti.

L’imprenditrice
Secondo l’accusa sarebbe stato lui a fornire ai lavoratori specifiche sulle modalità di comportamento in caso di accesso ispettivo da parte dei carabinieri. Per gli investigatori, i due cittadini stranieri e le aziende avrebbero creato “un apparato quasi perfetto”, che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento fino al pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal Ccnl, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia. Le buste paga, infatti, sono risultate false perché contenenti un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente svolte dai lavoratori e prive di riposi e ferie. I lavoratori inoltre, non sarebbero stati sottoposti alla prevista visita medica. Il volume d’affari annuo delle dieci aziende sottoposte a controllo giudiziario ammonta a cinque milioni di euro.

Fonte: Open.online e Il Giornale