«Forme di protezionismo occulte limitano l'export italiano»

Urso (Italy Trade): «Vi racconto cosa succede nei Paesi scandinavi»

«Forme di protezionismo occulte limitano l'export italiano»
"Ci sono forme di protezionismo occulte con cui chi esporta ortofrutta deve fare i conti, mercati che prima compravano prodotti italiani e che ora quegli stessi prodotti se li coltivano, catene distributive che privilegiano le referenze locali a scapito di quelle d'importazione. Questa è la realtà con cui quotidianamente ci confrontiamo". A parlare è Andrea Urso, Ceo di Italy Trade, società specializzata nell'export ortofrutticolo e che valorizza i prodotti italiani in diversi mercati europei.



E' stata un'estate anomala quella del 2021. "C'era molto meno prodotto estivo da esportare, sulle drupacee per esempio i volumi disponibili erano infinitesimali, è come se la campagna fosse saltata e questo fa il paio con la campagna asparagi: diciamo che è un periodo di grossa contrazione dei volumi trattati e trattabili - prosegue l'imprenditore - Il gran caldo, poi, ha causato ritardi sull'uva e non ha favorito una partenza positiva della commercializzazione di questa referenza".

Dal quadro produttivo alla situazione dei mercati. Italy Trade lavora molto nei mercati dell'Europa del Nord. "In Scandinavia si è iniziato a spingere sui prodotti locali, c'è una politica di protezionismo che privilegia ciò che si coltiva in patria a scapito di prodotti esteri di cui non sentono il bisogno - prosegue Urso - Nei Paesi nordici si sta lavorando per incrementare la produzione di ortaggi, ci sono investimenti in enormi superfici, soprattutto serricole. Così, però, i Paesi del Sud vanno a perdere quella che è stata la loro storica peculiarità di fornitori dell'Europa settentrionale, un errore politico perché se l'Ue investe e sostiene l'aumento produttivo del Nord, toglie lavoro alle nazioni del Sud, Italia compresa. E' un fenomeno che si nota da un po' di tempo, ma ora si inizia a sentire in maniera netta fino ad avere la prima uva bio senza semi svedese (clicca qui per leggere la notizia)".



I mercati scandinavi, dunque, stanno cambiando. "Sono molto protezionisti e nazionalisti: monitoriamo la distribuzione e vediamo sempre più prodotti evidenziati con le bandiere nazionali. Sui pomodori, poi, imitano nomi italiani. C'è un patto non scritto tra governi e grandi catene per sostenere la produzione locale e i consumatori, questo va sottolineato, scelgono le referenze nazionali. In generale notiamo reparti ortofrutta più poveri in Scandinavia: il Covid ha picchiato duro sull'economia e la forza di acquisto è diminuita. C'è tanta merce a basso costo e questo per il prodotto italiano vuol dire concorrenza che arriva da altri Paesi. Un esempio? Per la prima volta ci siamo dovuti confrontare con le ciliegie serbe. Ma anche da Romania e Ungheria arrivano prodotti ortofrutticoli che beneficiano di costi di manodopera più bassi e trasporti più economici. Per l'Italia il paniere si è ridotto".

Ma quali sono i prodotti su cui il nostro Paese può fare la differenza? "Kiwi, mele, uva da tavola e frutta a nocciolo possono aiutare l'export tricolore - risponde il Ceo di Italy Trade - ma davanti alla crisi economica e climatica tutto è più difficile. In Scandinavia si vendono mele e pere di piccolo calibro, brutte da vedere e non particolarmente buone, ma sugli scaffali, proprio per un discorso di protezionismo occulto, si tendono a tenere questi prodotti a scapito di quelli italiani. Noi ci stiamo muovendo per aprire nuovi mercati, stiamo cercando export manager con un portafoglio clienti in altre piazze europee - conclude Andrea Urso - proprio per muoverci a trecentosessanta gradi e non concentrarsi su un limitato gruppo di Paesi, diversificando così le destinazioni e aumentando le opportunità per l'ortofrutta Made in Italy".

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