E’ giusto pagare una nettarina 1,50 euro?

Dal sì o no dipende il futuro dell'ortofrutta. Se ne parlerà a Think Fresh

E’ giusto pagare una nettarina 1,50 euro?
Le voci corrono. La notizia di un fruttivendolo che vende prodotti d’eccezione arriva anche al mio orecchio e, complici curiosità e professione, sfrutto un’occasione che mi porta dalle sue parti per dare un’occhiata. Sono già le 19 di sera ma ci sono ancora sei persone in fila fuori dal negozio. Quando è il mio turno entro e vengo accolto da un cartello a caratteri cubitali: “VIETATO TOCCARE”. Devo ambientarmi, sono reduce da una vacanza in Croazia dove per comprare un frutto accettabile è necessario toccarli tutti, rigorosamente senza guanti visto che non sono disponibili, ma spesso non è sufficiente, per cui occorre desistere.

Arredamento caldo, merce ordinata e impeccabile, tante specialità ma il mio sguardo si posa su una padellina anonima 30x50 di nettarine AAA, origine Emilia Romagna. Belle da vedere ma niente di eccezionale, salvo il prezzo: 6 euro al kg. Sono incuriosito e provo ad approfondire. “Sono eccezionali, spiccagnole e dolcissime, ho un fornitore fidato e le verifico di persona ogni mattina. Le provi”, mi dice il titolare.

Pur non riuscendo a sapere varietà e fornitore, seguo comunque il consiglio e ne compro quattro alla modica cifra di un euro e cinquanta l’una, insieme a diverse altri prodotti, per un totale di oltre 35 euro. Arrivato a casa faccio tutti i controlli del caso. Ne scelgo una, ha un diametro di 83 mm, peso 255 gr, durezza poco meno di 3 kg al penetrometro, 18,4 gradi brix. Provo a tagliarla radialmente, le due metà si separano senza sforzo, basta una leggera pressione per togliere anche il nocciolo. La pasta è soda e compatta, dolce e morbida al morso. In un attimo il primo frutto è sparito. Voglio conferme e faccio una seconda prova. Stesso risultato. Così un kg di pesche noci finisce insieme alla cena. Faccio mente locale ma non riesco a ricordare l’ultima volta che ho mangiato un kg di nettarine in un paio d’ore. Con il pasto successivo anche tutto il resto è finito. Ora capisco la fila e mi pento di non aver comprato di più.



Come mi confermano diverse esperienze fatte negli ultimi tempi, frutta e verdura di autentica qualità sanno regalarci emozioni palatali degne dei migliori vini e delle specialità della norcineria del nostro paese diventando un potente motore per l’aumento dei consumi. Non si tratta di fantomatici “prodotti di una volta” o “del contadino” o, addirittura, “dell’orto”, ma del frutto di un lavoro professionale in campo, di una selezione rigorosa in magazzino con l’ausilio delle tecnologie e di cura certosina in negozio che danno centralità alle necessità di chi deve fruire del prodotto a casa. Produttività, colore, conservabilità perdono così d’importanza di fronte a dolcezza, fragranza, pastosità e costanza delle caratteristiche, senza parlare del nocciolo spiccagnolo, caratteristica chiave per pesche e nettarine, assente dai pensieri dei produttori ma cruciale per chi deve consumare, come vado dicendo da diverso tempo.

Perché quelle nettarine hanno meritato un euro e cinquanta l’una e sono sì un lusso, ma accessibile ad una larga fetta di consumatori, forse quella su cui meriterebbe concentrare le nostre strategie per il rilancio non solo della peschicoltura ma di tutta la nostra ortofrutticoltura? Provo a esemplificare arrotondando. Se le nettarine di calibro AA valessero un euro e venti l’una al consumo con un peso medio di 200 gr (6 euro al kg) e quelle AAA un euro e cinquanta l’una con un peso medio di 250 grammi (6 euro al kg), a patto – ovviamente - che siano di caratteristiche analoghe a quelle che ho consumato, immaginando - in eccesso - costi lungo la filiera di circa 60 centesimi al kg fra selezione, confezionamento e logistica – per fare un lavoro a regola d’arte – rimarrebbero oltre cinque euro al kg da spartire fra produttori e distributori. Una fortuna. Dividendo salomonicamente a metà, con due euro e cinquanta al kg, basterebbe una produzione di 20 tonnellate per ettaro per immaginare, questa volta per difetto, una redditività per il produttore di almeno 15.000 euro per ettaro, supponendo che ¼ della produzione sia di calibro AAA, ½ di calibro AA e ¼ divisa fra calibri minori, seconda e scarto da valorizzare l’uno per l’altro a 20 centesimi al kg (si può ricavare anche di più ma non è questo l’obiettivo).

Ovviamente per una produzione agostana, usando varietà adeguate, sesti d’impianto e tecniche colturali che valorizzino sostanza secca e grado zuccherino, oltre ad almeno tre stacchi, per cui con un costo di produzione per un prodotto da raccogliere a metà agosto al massimo di 20.000 euro per ettaro con le rese ipotizzate. Se non vogliamo esagerare, riparametrando tutto a cinque euro al kg, la redditività rimane comunque di oltre 10.000 euro l’ettaro. Certo si tratta di valori teorici parlando dell’intera campagna, perché ci sono anche giugno e luglio dove le condizioni sono diverse, senza contare le bizze del clima, oltre alle ricorrenti epidemie e flagelli che fanno sfigurare il Covid. In ogni caso l’analisi deve far riflettere.



Il punto è se esiste e quanto grande è la domanda per un prodotto di questo tipo. Per tentare di dare una risposta, occorre considerare che, arrotondando per eccesso, in media consumiamo a casa meno di 100.000 tonnellate di nettarine ogni anno nel nostro paese; se teniamo conto di una penetrazione media di circa il 50%, si tratta di circa 3 kg a testa, che corrispondono a circa 15 frutti di calibro AA o 12 frutti di calibro AAA, per una spesa che ai prezzi medi del 2020 è dell’ordine di 7,5 euro, circa 2,5 euro al kg. Dividendo a metà il consumo fra AA e AAA, la nuova spesa per circa 15 frutti a 5 euro il kg sarebbe di 15 euro, ovvero 7,5 euro in più in valore assoluto anche se corrisponde a un roboante e apparentemente inaccettabile raddoppio del costo. Ma, facendo un’analisi razionale, si tratta di un lusso accessibile a una larga fetta della popolazione, peraltro da spalmare nei 4 mesi della stagione del prodotto. Le nettarine sono una gratificazione estiva non un prodotto di base - come mele o pomodori - e senza sapore non vi è gratificazione.

Poi serve anche il prodotto da primo prezzo per chi non è interessato al gusto o per chi non ha sufficiente disponibilità economica. Su questo segmento lasciamo che si scannino i nostri competitori o, almeno, consideriamolo marginale nella nostra strategia. Un po’ di frutti piccoli e poco zuccherini sono fisiologici in una pianta ma possono essere limitati con tecniche colturali adeguate che puntano alla qualità del prodotto al palato.

Se no, in un anno di scarsa produzione come questo, l’alternativa è quella di non diradare, spingere sulla concimazione e sull’irrigazione, portare il calibro A come prevalente nel frutteto anche in agosto, raccogliere fra 40 e 50 tonnellate per ettaro, inondando il mercato di un prodotto di scarsa qualità gustativa che deprimerà i consumi anziché sostenerli. Nel 2021 il reddito per chi è riuscito a produrre arriverà anche così, ma vi pare una strada sostenibile per un paese che ha fra i più alti costi di produzione al mondo, per cui, per quanto si tagli su questo fronte, non si riuscirà mai ad essere competitivi?

Credetemi, numeri alla mano l’unica strada per il rilancio della nostra frutticoltura è la specializzazione verso l’alto, non è un caso che gli altri comparti dell’agroalimentare di successo abbiamo intrapreso da tempo questa strada. Continuare a segmentare l’offerta su dettagli, con poca caratterizzazione di vere marche percepite al consumo e scarsa standardizzazione, con la necessità di vendere tutto quello che si produce per far quadrare i conti, non fa che impoverire il valore dell’offerta alla produzione poiché disorienta il cliente che, a fronte di promesse spesso non mantenute, si sposta sul prodotto di più basso prezzo ritenendolo erroneamente più conveniente.



Dove si è lavorato bene, come fragole, ciliegie tardive, albicocche – solo per fare qualche esempio – l’alto di gamma supera spesso la domanda di primo prezzo fino a renderla addirittura invendibile, come è capitato alle ciliegie questa estate. E la domanda cresce, non solo a valore, perché vale il detto “un frutto tira l’altro”. Il tema della specializzazione è perciò vitale per il nostro comparto. A Think Fresh 2021 (www.thinkfresh.it) vedremo come approcciarlo. Non mancate.

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