Ciliegie, ci siamo adagiati sugli allori

Italia e Spagna strette nella morsa della concorrenza. Il nodo export

Ciliegie, ci siamo adagiati sugli allori
Tra le notizie delle ultime settimane sulla frutta estiva, quelle che hanno fatto più scalpore riguardavano le ciliegie. La stessa cosa è successa quando i frutti sono stati comparati ai cioccolatini, o quando i produttori le hanno scaricate in strada per protesta: si è innescata una discussione sulla mancanza di organizzazione dei produttori o sul perché c'erano scandalose differenze di prezzo nei mercati all'ingrosso.

Leggendo Italiafruit News, negli ultimi tempi abbiamo potuto vedere come ci fosse sempre qualche notizia relativa alle ciliegie e non tutte sono positive, nonostante la forte riduzione dei volumi produttivi di questa campagna. Osservando le grandi cifre della raccolta e del commercio a livello globale, possiamo fornire alcune idee su ciò che sta accadendo con questi frutti.

I dati forniti dalla Fao sulla raccolta delle ciliegie dai diversi continenti mostrano un'evoluzione molto diversa tra loro, considerando solo i primi 20 anni del secolo in corso.

Evoluzione della produzione mondiale di ciliegie (Faostat 2020)

Mentre le produzioni mondiali di ciliegie sono cresciute del 43%, quelle europee sono scese del 12%. Hanno contribuito alla crescita le produzioni americane e, soprattutto, quelle asiatiche. Non sono invece influenti quelle africane e dell'Oceania. L'Europa era il primo produttore di ciliegie a inizio secolo, ora è il secondo, ma è probabile che fra dieci anni diventi il terzo.

Se guardiamo a quello che è successo a livello mondiale con le esportazioni delle quattro principali drupacee (ciliegie, prugne, albicocche, pesche e nettarine) e analizziamo le cifre quinquennali del secolo attuale, otteniamo la seguente tabella.

Esportazioni mondiali di drupacee: in rosso le pesche e le nettarine, in verde le prugne, 
in viola le ciliegie, in azzurro le albicocche (fonte Trademap)

Nella tabella si possono vedere le cifre assolute in tonnellate, ma anche la crescita nel quinquennio 2001/2005 e 2016/2020 che dimostra come le ciliegie si distinguano dagli altri frutti.

Se facciamo la stessa analisi sul valore economico di queste esportazioni, secondo la stessa fonte, avremo una tabella simile per valore medio al chilogrammo.

Evoluzione dei prezzi medi al chilogrammo delle esportazioni: in viola le ciliegie,  in azzurro le albicocche, in rosso le pesche e le nettarine, in verde le prugne (fonte Trademap)

Guardando la tabella, possiamo concludere che mentre le albicocche sono diminuite con un prezzo medio all'esportazione del 8,39%, le prugne sono cresciute del 7,14% e le pesche e nettarine del 17,96%, le ciliegie salgono così come hanno fatto per la crescita in tonnellate e il loro prezzo aumenta del 33,12%.

Le conseguenze di questa evoluzione ci portano a una cifra curiosa.

Nel 2001, il valore economico delle ciliegie esportate era del 19,82% sul valore totale delle esportazioni delle quattro principali drupacee. Solo due decenni dopo, negli stessi dati del 2020, le ciliegie hanno rappresentato il 44,01% del valore totale di queste esportazioni.

E quali sono i Paesi che hanno beneficiato di questa evoluzione? Lo vediamo nella tabella seguente, dove è rappresentato l'85% del totale degli scambi mondiali di ciliegie.


Principali Paesi esportatori di ciliegie: Cile, Stati Uniti, Turchia, Uzbekistan/Azerbaigian, Spagna, Grecia, Italia (fonte Trademap)


La tabella parla da sola. Il Cile è il Paese con la maggiore crescita, seguito dalle antiche repubbliche sovietiche dell'Uzbekistan e dell'Azerbaigian, che sono apparse dal nulla. La Turchia prende piede mentre Stati Uniti e Grecia si salvano appena. Ma Spagna e Grecia, che nel 2001 rappresentavano il 10,79% del totale delle esportazioni di ciliegie, nell'ultimo anno 2020 ne hanno rappresentato solo il 4,95%.

Possiamo giustificare quello che è successo in Spagna e Italia dicendo che la nostra produzione è destinata soprattutto al consumo nazionale. Inoltre, non è facile esportare perché molti dei Paesi a cui inviamo frutta contano già su una produzione interna di ciliegie.

Ma se guardiamo a quanto è successo in Cile e pensiamo che si tratta di un Paese dell'emisfero australe, lontano da tutti i principali mercati di consumo e che quindi ha dovuto raggiungerli quasi esclusivamente via mare, possiamo concludere che in Europa, soprattutto in Spagna e Italia, ci siamo adagiati sugli allori.

Se guardiamo anche a come i Paesi emergenti sono riusciti a fare quel salto nella parte prettamente tecnologica del confezionamento, notiamo che molta tecnologia è italiana, guidata da Unitec. A questo punto dovremmo riflettere sui nostri errori o sul perché non stiamo facendo abbastanza, dato che nel frattempo altri Paesi ci stanno superando.

Il Cile è lontano, ma la crescita di Grecia e Turchia è accanto a noi e dovremo riflettere sui loro progressi. Ci possiamo difendere in alcuni casi parlando di tradizione, di prodotto a chilometro zero e del vantaggio di avere mercati storici e di prossimità. E anche i distributori locali saranno pronti a sostenerci.

Ma se un giorno i consumatori scoprissero che il rinnovamento varietale e la tecnologia post-raccolta di questi Paesi, relativamente vicini, offre loro ciliegie più grandi, più croccanti e dal grado Brix più alto - i cosiddetti cioccolatini di cui ha parlato qualche giorno fa il mio amico Maicol Mercuriali (Italiafruit News, 24 maggio) - consumatori e rivenditori potrebbero rivolgere il loro sguardo a quei frutti. Stiamo quindi molto attenti.

Copyright 2021 Italiafruit News