Alla scoperta del vertical farming

Alla scoperta del vertical farming
L’innovazione nel mondo agroalimentare è un fenomeno registrato in tutto il mondo: sono 500 le startup in questo ambito che nel solo 2018 hanno ottenuto 2,9 miliardi di dollari di investimenti, di cui un quarto attive nel campo dell’Agricoltura 4.0, un mercato con un valore globale di 7 miliardi di dollari, raddoppiato rispetto al 2017. In Italia l’Agricoltura 4.0 vale circa 400 milioni di euro, segnando il +270% in un anno: l’80% è rappresentato da aziende esistenti che si sono innovate e il restante 20% da nuove realtà (elettronica e sensori, software, robotica e droni, produttori indoor). Il mercato italiano rappresenta il 5% del mercato globale e il 18% di quello europeo, secondo i dati dall’Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano.

Al settore e in particolare alle coltivazioni fuori suolo, dall’idroponica all’acquaponica, dall’agricoltura urbana al vertical farming, è dedicato NovelFarm, la manifestazione internazionale unica in Italia per il suo focus specifico. Nel corso delle due giornate di evento sono state analizzate alcune sfide per il nostro pianeta nei prossimi anni, alle quali proprio l’Agricoltura 4.0 cerca di dare delle risposte.

La prima sfida, quella di riuscire a nutrire la crescente popolazione cercando di avere il minor impatto ambientale possibile, è stata tradotta in numeri da Daniel Podmiserg del Vertical Farm Institute, tra scenari distopici e utopici, alla ricerca di soluzioni praticabili che siano sostenibili ambientalmente, socialmente ed economicamente. Daniel Podmiserg ha sottolineato come l’introduzione nelle aree urbane di coltivazioni verticali integrate abbia un impatto positivo su molte dimensioni della sostenibilità urbana, a patto che il modello agricolo riesca a valorizzare l’intero volume degli edifici, inserendo colture complementari. La tecnologia del fuori suolo permette di ottenere efficienze elevatissime anche senza iperspecializzare la “fattoria”, a patto di far coincidere il luogo di vendita/consumo con quello di produzione: il vero Km 0.

Delle micro e nano plastiche nei mari si parla da tempo, ma il problema riguarda anche i terreni agricoli. Si parla delle microplastiche, che vengono ingerite dagli animali da cortile attraverso i vermi, che si occupano anche di diffonderle, e della nanoplastiche, che per le piccolissime dimensioni riescono a entrare in circolo nei vegetali. I pericoli potenziali provengono dalle sostanze chimiche nocive che si “attaccano” alle particelle di plastica, e in questo modo aggirano le barriere difensive degli organismi. Ancora in larga parte misterioso è invece l’effetto che le nanoplastiche più piccole, sotto i 20 nanometri, hanno sul funzionamento cellulare, ad esempio mimando l’azione di determinati enzimi o interferendo sulle membrane. Ma da dove viene la plastica nei terreni? Si fa prima a dire da dove non viene, tante sono le fonti possibili. Una di queste sono i teli usati per la pacciamatura, che si sta diffondendo per combattere meccanicamente le malerbe eliminando i diserbanti; un’altra il compost ottenuto anche con plastiche bio-based, che prima di essere assorbite si comportano come le plastiche tradizionali (anzi peggio, perché sono più bio-affini). Questi i primi risultati emersi dalla ricerca del team di Esperanza Huerta della Wageningen University & Research sulla  sfida che la richiesta per maggiore produzione agricola con metodi tradizionali pone all’umanità.

Per entrambe queste sfide, oltre all’educazione contro lo spreco e l’inquinamento, una soluzione radicale è rappresentata dall’indoor farming, termine che racchiude in sé un alto sviluppo tecnologico, oltre ad essere sinonimo di produttività, controllo sulla qualità e localizzazione della produzione.  Se il problema è il suolo, perché non disponibile o a rischio di contaminazione, riduciamone la necessità per la produzione agricola.

Questo innovativo approccio alla produzione di cibo include mercati che vanno dai più tradizionali, piccoli frutti e ortaggi, al luppolo e all’uva da tavola, fino a quelli del non food, come la nutraceutica e la canapa. Oltre ai vantaggi spesso ricordati, rese elevatissime per metro quadro, riduzione dell’uso di suolo, acqua, fertilizzanti, azzeramento di pesticidi e diserbanti, il fuori suolo ne ha molti altri: uniformità della qualità, possibilità di controllare le caratteristiche dei prodotti, purezza dei principi attivi estratti, possibilità di utilizzare varietà ottimizzate che richiederebbero uso di prodotti chimici in grandi quantità, indipendenza dalle condizioni climatiche.

NovelFarm ha dimostrato che il fuori suolo è il futuro ma anche il presente dell’agricoltura. Che sta vivendo la sua vera “rivoluzione industriale”.

Fonte: ufficio stampa NovelFarm