Ogm o nuove biotech, per l'Europa non fa differenza

La sentenza della Corte di giustizia. I commenti di De Castro, Mezzetti, Moncalvo, Verrascina

Ogm o nuove biotech, per l'Europa non fa differenza
La direttiva sugli Ogm deve applicarsi anche agli organismi ottenuti con tecniche sviluppate dopo la sua adozione. Lo ha deciso la Corte di giustizia Ue, rispondendo al ricorso di un gruppo di associazioni francesi contro l'uso di sementi ottenute mediante mutagenesi sito-specifica, una biotecnologia di selezione vegetale di ultima generazione (Nbt, Nuove biotecnologie in agricoltura). Solo le varietà ottenute per mezzo di tecniche di mutagenesi tradizionale, cioè utilizzate in varie applicazioni con una lunga tradizione di sicurezza, sono esentate dagli obblighi della direttiva Ogm.

La decisione ha subito riacceso il dibattito che, a livello comunitario, dura da una decina d’anni. Da un lato, infatti, ci sono (soprattutto) ricercatori e studiosi che sottolineano la differenza tra i prodotti transgenici e quelli ottenuti con le nuove tecniche che, spesso, non richiedono l'impiego di materiale genetico esterno al Dna della pianta. In questi casi si potrebbero ottenere varietà resistenti alle malattie e che richiedono meno fitofarmaci. 
Dall’altro lato, le organizzazioni ambientaliste pensano che gli “Ogm 2.0” vadano sottoposti agli stessi controlli degli Ogm tradizionali perché consentono di produrre varietà gm con tempistiche e quantità non paragonabili a quelle dei metodi tradizionali di mutagenesi.



“La Corte di giustizia europea lascia gli Stati membri liberi di interpretare se sia da considerare o no Ogm, e quindi se deve rispettare o no la normativa Ue sul transgenico, un organismo o un varietà di pianta ottenuti dall'incrocio della stessa specie (senza inserire un Dna estraneo) e da utilizzare in modo convenzionale in varie applicazioni, con una lunga tradizione di sicurezza”. E' il commento di Paolo De Castro, primo vicepresidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo, secondo cui la sentenza pronunciata ieri dalla Corte di giustizia della Ue rappresenta comunque un passo in avanti sulla strada dell'innovazione genetica che non fa ricorso al transgenico.

“I giudici europei - dice - non smentiscono quanto sostenuto nel parere dell'Avvocato generale favorevole a non considerare Ogm gli organismi modificati senza il trasferimento di altri geni (mutagenesi), anche se non danno un'interpretazione inequivocabile alla delicata questione rimandando la responsabilità agli Stati membri”.

“Altro elemento fondamentale - aggiunge De Castro - è il fatto che il miglioramento delle tecniche varietali non transgeniche rappresenta una leva importante per non dipendere più dalle grandi multinazionali, rafforzando quindi la collaborazione tra Università e piccoli centri di ricerca di cui l'Italia conta vere e proprie eccellenze”.



“Bisogna ammettere che anche le Nbt più avanzate possono avere livelli di rischio che devono essere valutati caso per caso, in modo da dimostrare che i prodotti ottenuti sono sicuri. Solo così si possono approvare e mettere sul mercato”, spiega a Italiafruit News Bruno Mezzetti, professore dell’Università Politecnica delle Marche.
“Non dobbiamo aggirare o demolire le normative europee sulle biotecnologie - continua - e cercare non un approccio focalizzato sul metodo, come sono impostate le attuali normative, ma sul prodotto, come avviene in molti Paesi al mondo. Richiedendo cioè la valutazione di rischio non perché è stata usata una biotecnologia o un’altra, ma perché c’è la concreta possibilità di rischi per l’ambiente o i consumatori”.

Insomma, per il ricercatore la comunità scientifica non deve trovare scorciatoie, ma mostrare con forza le ragioni della buona scienza a favore delle biotecnologie vegetali. “Abbiamo dati e informazioni per rispondere alle fake news e dimostrare come, con le Nbt, si possano creare piante/prodotti capaci di risolvere i problemi della nostra agricoltura. E senza rischi per l’ambiente e per il consumatore. Solo così possiamo aumentare l’approvazione pubblica, fondamentale per la diffusione commerciale dei nuovi prodotti biotecnologici”.



In effetti il commento di Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, è su una linea opposta: “Lo studio e l’impiego di ogni nuova tecnologia che aiuta a esaltare la distintività del nostro modello agroalimentare, il Made in Italy e i suoi primati di biodiversità, possono essere approfonditi e valutati solo nel rispetto del principio di precauzione, della sostenibilità ambientale, del libero accesso al mercato, della reversibilità e della necessità di fornire una risposta alle attese dei consumatori”.

“Anche le nuove tecniche dunque - sottolinea Moncalvo - non possono essere esonerate da un esame approfondito dei rischi ai fini dell’emissione deliberata nell’ambiente e dell’immissione in commercio in quanto simili a quelle della transgenesi e occorre evitare gli effetti negativi sulla salute umana e l’ambiente e violare il principio di precauzione”.



Profondo rammarico per la sentenza di ieri è invece arrivato da Franco Verrascina, presidente della Copagri: “Speravamo in una sentenza del tenore opposto, dal momento che la tecnica della selezione vegetale della mutagenesi, al contrario di altre quali la transgenesi, è un procedimento che consente di modificare il genoma di una determinata specie senza ricorrere a corredi genetici estranei. Continuare a parlare di Ogm, invece, significa concentrare l’attenzione su una tecnologia sempre più datata, sottovalutando le nuove frontiere della ricerca, fondamentali per un’agricoltura più sostenibile dal punto di vista ambientale e della sicurezza alimentare”.

“I nuovi metodi di innovazione vegetale, infatti, forniscono un importante contributo per soddisfare le richieste dei consumatori, per ridurre gli sprechi alimentari e garantire una produzione alimentare sostenibile, oltre a permettere di sviluppare varietà più resistenti ai cambiamenti climatici e in grado di adattarsi meglio alle esigenze degli agricoltori”, ha continuato Verrascina, ribadendo la necessità di “lavorare per concretizzare un rapporto stretto e continuativo tra il mondo della ricerca e quello della produzione agricola”.

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