Farinetti, l'arte di narrare il cibo Made in Italy

A Milano tra biodiversità (reale) e sogni a occhi aperti (cuccare di più)

Farinetti, l'arte di narrare il cibo Made in Italy
Nel bene e nel male è l’uomo del momento. Visionario, affabulatore, piuttosto che ispirato uomo d’affari e paladino del Made in Italy, Oscar Farinetti, patron di Eataly e presidente onorario di Fico, il parco agroalimentare di Bologna, sta facendo parlare di sé.
E la settimana scorsa dal palco del Teatro Manzoni di Milano, all’evento di lancio dello Speciale Frutta & Verdura di Mark Up e Italiafruit News, ci ha dato - volenti o nolenti - una lezione di comunicazione.

“L’Italia batte tutti in biodiversità - ha iniziato - Nel nostro Paese ci sono 1.200 vitigni autoctoni, contro i 222 della Francia e 538 cultivar di olive contro le 70 della Spagna. E se in Europa ci sono 1.200 varietà di mele, mille sono in Italia. Per questo motivo a Fico abbiamo voluto un grande portale con 3-4 tonnellate di mele che gli amici di Melinda ci portano ogni 15 giorni. Per questo abbiamo fatto Fico in Italia”.

Poi qualche riflessione sul perché l’ortofrutta non riesce a spuntare prezzi soddisfacenti. “Perché non è narrata – ha osservato Farinetti - Su frutta e verdura non è mai stata fatta narrazione. Dell’asparago di Bassano devo spiegare che è bianco perché lo tengono sotto terra e lo devo raccontare in 14 righe. Quando mi chiedono perché ho aperto Eataly, rispondo sempre: per raccontare una mela!”.



La grande novità di Eataly, in effetti, è stata mettere accanto ai prodotti la narrazione, che è la prima operazione. Si parte dal fondo, poi vengono le tecniche di coltivazione, le colture. Ma prima c’è la narrazione, è l’elemento fondamentale. “Quando si entra in qualsiasi negozio Eataly – ha continuato l’imprenditore piemontese - c’è un grande cartello con la frase di Wendell Berry, Mangiare è un atto agricolo, eating is an agricultural act. Cosa significa? Se tutti noi consumatori siamo persuasi a mangiare cose sane, di cui conosciamo la storia, la tradizione, siamo disposti a pagare di più, e quei soldi in più vanno al produttore, il quale migliora le sue tecniche. Dobbiamo lavorare sul cliente finale attraverso la narrazione”.

Insomma, se per frutta verdura l’operazione numero uno è narrare, la seconda è specializzarsi. “L’Italia ha ancora il 70% di agricoltura generica e solo il 30% di agricoltura altamente specializzata – ha continuato - Dobbiamo concentrarci su questa, c’è il mondo per fare il resto. Siamo campioni in biodiversità e siamo condannati a vendere eccellenze nel mondo. Anche alcuni dell’agroalimentare l’hanno capito: nel vino, nell’olio extravergine, nella pasta di Gragnano di livello. Come riescono a dare valore, attraverso cosa? La storia è sempre la narrazione”.

Insegnare l’arte di sbucciare un’arancia rossa di Sicilia
“Provate a immaginare quattro arance rosse impacchettate in una confezione con la spiegazione di come si sbucciano vendute sugli scaffali di Eataly a New York – ha continuato il patron di Eataly - In modo che per il consumatore americano sia cool possedere un frutto italiano. Lo stesso se immaginate quattro mele del Trentino confezionate. Ma le mele devono costare 9,8 dollari in America. Un prezzo che lì pagano tutti, perché non è niente per una figata del genere, che ti consente di fare sentire il profumo ai tuoi ospiti, raccontargli la storia di quattromila produttori. Ecco perché un paese come l’Italia non può basarsi sul km zero: dobbiamo vendere in tutto il mondo questa penisola illuminata che ha il dovere di produrre, vendere e raccontare le sue meraviglie.



Per finire, il grande tema del salvare il pianeta. “Abbiamo il maggior numero di aziende bio del mondo, la minor quantità di residui chimici nei terreni. Non solo, abbiamo enti di controllo che sono meraviglie mondiali. Dobbiamo spostare il valore del rispetto da senso del dovere a senso del piacere. Il dovere non porta da nessuna parte. Il mio sogno è che uno dica: io faccio la differenziata non perché sono obbligato, ma perché lo racconto in giro e cucco di più!”. Sarà anche un mercante, come si è definito lui, ma giovedì scorso, al Manzoni, in 650 a quella storia ci abbiamo creduto volentieri.

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