Cibus «core» del made in Italy

Via all'Osservatorio sull'Italian Sounding. E l'Ue torna all'etichetta d'origine

Cibus «core» del made in Italy
Si è conclusa ieri la "migliore edizione di sempre" di Cibus (così l'ha definita Elda Ghiretti, Cibus Brand Manager), la rassegna internazionale dell’alimentazione organizzata da Fiere di Parma e Federalimentare. Rassegna che ha chiuso nel giorno in cui l'Europarlamento ha chiesto - con una risoluzione non vincolante - che l'indicazione del Paese d'origine diventi obbligatoria per tutti i tipi di latte, di prodotti lattiero-caseari e di prodotti a base di carne. Una notizia che riguarda da vicino molte delle tremila aziende espositrici, perché l'etichettatura obbligatoria renderebbe più trasparente la catena di approvvigionamento, aiutandola a mantenere la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari.

Il Parlamento Ue ha anche chiesto alla Commissione e agli Stati membri di valutare la possibilità di estendere l'indicazione obbligatoria del Paese di origine ad altri prodotti alimentari mono-ingrediente o con un ingrediente prevalente. E questo, in particolare, potrebbe interessare l'altra parte di aziende presenti a Cibus 2016, quelle di prodotti trasformati, ortofrutta compresa.


Valentina Chini

Perché, di fatto, la risoluzione mira a fermare l'inganno dei prodotti alimentari stranieri spacciati per Made in Italy. "E’ questa la strada - ha dichiarato Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – Una norma comunitaria valida per tutti, alla quale non possono sfuggire gli altri Paesi, mentre una norma nazionale - solo italiana - non avrebbe raggiunto lo scopo, anzi sarebbe stata controproducente".‎

Proprio ieri al Cibus è stato presentato il primo Osservatorio internazionale sull’Italian sounding alimentare. L’Osservatorio, del quale Scordamaglia è coordinatore, è il primo atto concreto a testimonianza del potenziamento del Cibus, previsto anche nel rinnovo del contratto fra Federalimentare e Fiere di Parma per dieci anni, fino al 2026, che vedrà Cibus sempre più quale piattaforma per la promozione e la salvaguardia del Made in Italy nel mondo.


Andrea e Giuseppe Battagliola

L’Italian Sounding è una fra le più controverse forme di comunicazione ingannevole per il consumatore. Una falsa evocazione di italianità mediante bandiere, foto, nomi apposti su prodotti in realtà non fabbricati in Italia. Un giro d’affari, e quindi un relativo danno per il vero Made in Italy, che è stato (sotto)stimato i circa 60 miliardi di euro. “Se pensiamo che solo in America il fenomeno vale 23 miliardi - ha spiegato Scordamaglia – ecco che il valore complessivo, e quindi il danno economico per l’industria alimentare italiana, è ben più alto”.

L’Osservatorio sull’Italian Sounding studierà il fenomeno, identificabile ma non adeguatamente approfondito, avvalendosi della consulenza scientifica di un advisor di livello in ambito studi/osservatori, e dei dati di fonti accreditate. Analizzerà le modalità e le tipologie del fenomeno, ma soprattutto monitorerà i mercati geografici e i canali, dove e attraverso cui l’Italian Sounding prolifera. Un primo rapporto dell'Osservatorio sarà presentato in occasione di Cibus Connect 2017.


Salvo Laudani con Carmelo Chiaramonte

L'ultima giornata di Cibus 2016 è stata caratterizzata da alcuni appuntamenti significativi anche per il settore ortofrutticolo. Tra gli altri, è stata presentata “Coop Italian Food spa”, la nuova società, guidata da Domenico Brisigotti di Coop Italia. Obiettivo, diventare il punto di contatto più qualificato tra i produttori alimentari italiani e i player internazionali che intendono proporre il meglio dell'Italian food.

Coop mette in campo “reputazione e capacità di selezionare aziende e prodotti - ha detto Brisigotti - per ricoprire le vesti di aggregatore dell’eccellenza alimentare nazionale e proporla ai singoli retailer internazionali, nelle specifiche modalità richieste”. E persino E.Leclerc si affida all’esperienza di Coop Italia per selezionare la vera tipicità. “Anche nei nostri pdv – ha dichiarato Frédéric Gheeraert, dg Scamark E.Leclerc - assistiamo a un fenomeno di valorizzazione della tipicità regionale, che assume un ruolo sempre più importante. Ovvio che per vendere la tipicità italiana Oltralpe occorre spiegare bene l’origine e la cultura d’origine e, per fare questo, la tecnologia digitale e l’interazione con il consumatore possono aiutarci. Naturalmente l’alleanza con Coop Italia ci permette di selezionare al meglio i prodotti regionali”.

Intanto, in un altro padiglione, l'Organismo interprofessionale Pomodoro da Industria del Nord Italia lanciava il progetto “Scendiamo in campo per il pomodoro: campagne e fabbriche aperte”, per rendere trasparenti e verificabili le attività della filiera.


Luca Zocca

Nel 2015 l'export di pomodoro da industria italiano ha raggiunto l'importo record di un miliardo e 536 milioni di euro, a fronte di importazioni per appena 157 milioni, in pratica con un rapporto di dieci a uno. E' quanto è emerso al convegno su "Responsabilità e trasparenza di filiera". Un export, è stato sottolineato, che rappresenta "il consolidato punto forte dell'industria italiana di trasformazione del pomodoro", visto che i 2,1 milioni di tonnellate destinati a soddisfare il mercato interno rappresentano poco meno del 39% della produzione nazionale, che nel 2015 si è attestata a 5,3 milioni di tonnellate (+9,9% rispetto al 2014). Mentre, il resto, oltre 3 milioni di tonnellate, tra pelati, polpe, passate, concentrato e salse, è destinato nei mercati esteri.

Il 61% circa del pomodoro da industria made in Italy, dunque, è destinato ad alimentare il mercato globale dell'oro rosso contribuendo a un business mondiale stimato in 6,4 miliardi di dollari. Di questo giro d'affari, oltre un terzo (il 34%) è generato proprio dall'Italia, che a valore precede Cina, Stati Uniti, Spagna, Olanda e Portogallo. I derivati del pomodoro prodotti in Italia hanno come "storici" mercati di destinazione Usa, Giappone e Australia. Ma negli ultimi anni hanno conquistato spazi anche in nuovi mercati, tra cui i Bric (Brasile, Russia, India e Cina) e l'area del Golfo Persico; paesi che attualmente assorbono una quota rilevante dell'export italiano di pomodoro, con circa 700mila tonnellate l'anno.

Raffaella Quadretti
Editorial manager - Agroter Group
raffaella@agroter.net

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