Spagna, manodopera in siesta

A rischio la raccolta delle drupacee, c'è chi preferisce piantare mandorli

Spagna, manodopera in siesta
Manca la manodopera e un’intera stagione frutticola è a rischio. Anche se può sembrare lo scenario italiano, questa volta stiamo parlando della Spagna, dove il settore delle drupacee si trova in estrema difficoltà.

Come specifica la testata Valenciafruits.com riportando le parole dell'organizzazione hortofrutícola Asociafruit – Fepex : “in Andalusia la prima campagna di pesche e nettarine ha chiaramente dimostrato la mancanza di manodopera che sta vivendo la Vega del Guadalquivir (areale specializzato per la produzione di drupacee, ndr), un problema che peggiora quando diverse campagne coincidono”.

La carenza di manodopera è considerata uno dei “problemi più gravi” per la frutticoltura anche da Agustín Sánchez Castro, segretario generale di Fedefruta Aragona e del Consiglio di settore ciliegia della federazione ortofrutticola Fepex. Quest'anno le gelate e la grandine hanno drasticamente ridotto la produzione di drupacee aragonesi, "ma appena recupereremo i livelli - non dico pieni, se non dall'80% di una normale campagna - avremo un problema del personale molto serio”, avverte Castro.
Secondo il segretario generale di Fedefruta Aragona, questo fattore si è già tradotto in alcune zone del Paese in “investimenti nella produzione di colture più meccanizzate rispetto alle drupacee, come ad esempio i i mandorli ad irrigazione intensiva", che dipendono meno dalla manodopera rispetto alla frutticoltura tradizionale.



Ma non è la prima volta che la Spagna deve fare i conti con la carenza di manodopera. Come osserva Castro, già negli ultimi anni Novanta e anche nel 2017 si era registrata una carenza di operai per il settore delle drupacee, con "un’ incidenza molto grave nel 2019", quando si era verificato un raccolto abbondante, prezzi bassi e le pesche erano rimaste sull'albero. Il problema si era riproposto anche nel 2020 e 2021 -quando le campagne di raccolta non erano state del tutto portate a termine - e ora torna a dominare la scena.

Manodopera estera, una possibile soluzione?



Se la manodopera spagnola è mancante, la soluzione non rimane che assumere squadre di lavoratori esteri. Come specifica Asociafruit “la mancanza di persone per lavorare nei campi e nei magazzini significa che nell'immediato futuro avremo la necessità di gestire contingenti di manodopera provenienti da altri Paesi”.
Già da anni in Spagna arrivano tantissimi lavoratori stranieri, tra cui circa 20 mila donne marocchine impegnate nella raccolta delle fragole, oltre ad operai dalla Romania e dalla Bulgaria. Ma negli ultimi tempi, con le normative entrate in vigore dallo scoppio dell’epidemia, gli arrivi si sono ridotti, lasciando il settore spesso ‘a bocca asciutta’.

Riforma del lavoro, quali conseguenze



L’ultima riforma del lavoro in Spagna ha previsto la sostituzione del contratto a tempo determinato nel settore ortofrutticolo con quello del fisso discontinuo. Ma sembra che questa misura non abbia risolto il problema della manodopera.
Come ha sottolineato il responsabile di Fedefrutta: “Ha cambiato tutto per poi rimanere la stessa cosa di prima”. Secondo Castro l’agricoltura continua ad assumere infatti le stesse persone già impiegate nelle campagne precedenti -tra il 60% e l'80% degli operati continuano a lavorare da una campagna all'altra - e con le stesse modalità di contatto. “C'è un cambiamento in termini di gestione del personale: nonostante l’obbligo di assumere prima i lavoratori dell’anno precedente, in molti hanno mostrato una certa riluttanza nel sottoscrivere contratti a tempo indeterminato: vorrebbero infatti una maggiore flessibilità in modo da sfruttare anche l'offerta di altre campagne agricole”. 

Se in Italia il dibattito sulla manodopera rimane strettamente collegato al reddito di cittadinanza inteso come deterrente per il lavoro nei campi, in Spagna la polemica è attualmente concentrata sulla riforma del lavoro e all'arrivo dei lavoratori stranieri.
Questo nonostante anche in Spagna esista un reddito di cittadinanza, chiamato “Ingreso minimo vital” (ingresso minimo vitale, ndr). Varia da un minimo di 462 ad un massimo di 1015 euro al mese (in base ai componenti del nucleo familiare) e tra i requisiti per riceverlo c’è la residenza nel Paese da almeno un anno, oltre all’iscrizione nelle liste di collocamento.


Foto di raccolta frutta, archivio IFN

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