Si possono vendere mele a 2,99 euro il chilo?

Accade in Germania per lo sfuso di grande calibro: 38% in più che in Italia

Si possono vendere mele a 2,99 euro il chilo?

Erano tre anni che non facevo un giro nei supermercati tedeschi e debbo dire che le sorprese sono state tante. La più eclatante è certamente l’evoluzione del prezzo a cui nelle catene dei supermercati vengono proposte tutte le mele sfuse di calibro importante, dalle locali a quelle d’importazione e persino quelle club, passate dall’1,99 ai 2,99 euro/kg. La seconda è che i discount, intesi come punti di vendita in cui c’è una soglia di prezzo oltre il quale non si può andare nell’ambito delle diverse merceologie, non esistono proprio più, visto che nettarine e susine in contro stagione toccano e superano i 4 euro al kg. 

Venendo dalla situazione italiana, questi cambiamenti mi hanno fatto riflettere. Pensate che da una rilevazione fatta la settimana 13 dal Monitor Ortofrutta di Agroter su 32 supermercati e superstore italiani è emerso che il prezzo medio per lo stesso calibro delle mele non Club era di 2,17 euro/kg, con un range che andava dagli 1,99 della Red ai 2,72 della Renetta, passando per i 2,04 della Golden. Solo la Pink Lady reggeva il confronto tedesco, con i suoi 2,92 euro/kg.

Un 37,8% in più, come media per le mele non Club, non è facile da spiegare e anche il tecnicismo della mancanza in Germana di bilance self service con cui peso prezzare - che consiglia di fare un solo prezzo per tutte le varietà per agevolare il lavoro delle cassiere - dovrebbe scricchiolare di fronte alle necessità di convenienza reclamate dall’opinione pubblica di fronte all’aumento del costo della vita. Per questa ragione tecnica avrei al limite compreso un valore intermedio, al massimo nell’intorno dei 2,49 euro/kg, ma così non è stato. E, ad ascoltare produttori e distributori di questi tempi, cinquanta centesimi sono oggi una buona ragione non solo per cambiare fornitore ma anche la squadra del cuore.

A mio avviso, la motivazione a questa situazione va ricercata nella diversa reazione del sistema distributivo tedesco all’aggravio dei costi lungo la filiera. Mentre in Italia, sin dall’autunno, si sono alzate le barricate di fronte ai rincari, con una distribuzione moderna che si è erta a difensore del potere d’acquisto dei consumatori, spesso negoziando al ribasso le richieste di aumento che provenivano dalla produzione, i tedeschi, più pragmatici per definizione, hanno affrontato la crisi senza tante remore, accettando più inflazione, tanto che, in Germania, a marzo è arrivata al 7,3%, contro il 6,7% del nostro Paese.

L’aver innescato, anche grazie ad una strategia di comunicazione martellante e aggressiva, il sentiment che questa crisi economica sarebbe stata diversa da quelle viste negli ultimi trent’anni, vale a dire senza effetti rilevanti sui prodotti alimentari e del largo consumo e, perciò, con più spazio per i generi voluttuari, ha però prodotto effetti disastrosi nel nostro Paese, aggravati di fronte al perdurare dei problemi sull’energia e sulle materie prime dall’insorgere della guerra in Ucraina.
L’incertezza generale, infatti, ha comunque compresso i consumi, per cui, azzeramento dei margini e riduzione dei volumi hanno provocato una deflagrazione nel nostro sistema agroalimentare, la cui onda d’urto sta travolgendo produttori e distributori e, fra poco, anche le famiglie coinvolte a livello lavorativo nei settori merceologici interessati, quello ortofrutticolo in testa. 
Ma non basta, mentre la logica del “poco a nulla” domina tuttora la comunicazione nel nostro paese, in Germania nettarine e susine dell’emisfero sud fanno capolino in tutti i negozi, soprattutto in quelli che un tempo chiamavamo discount, ad insegna Aldi, Lidl, Penny e Netto, a prezzi che oscillano fra i 3,99 e i 4,99 euro al kg. Pur essendo negozi che hanno un target primario fra i ceti meno abbienti, queste proposte non credo siano vissute come un insulto o una mancanza di rispetto di fronte alle difficoltà che accomunano, ancora una volta, tedeschi e italiani, entrambi legati alle incertezze del gas di Putin, ma la consapevolezza che – proprio in questi momenti di difficoltà e frustrazione – sono le piccole gratificazioni sul cibo uno dei pochi conforti che quasi tutti possono concedersi.

Non c’è nulla di immorale in questo approccio, come potrebbe apparire oggi in Italia; non passerebbe in un paese come la Germania dove tradizionalmente c’è grande attenzione alla spesa alimentare. È viceversa un approccio razionale e realistico, che pone all’attenzione dell’opinione pubblica il fatto che in questo contesto occorre un ridimensionamento delle aspettative e delle gratificazioni, su cui l’alimentare può giocare un ruolo. Che sia venuto il momento di cambiare registro anche in Italia? Vi assicuro che da quanto emerge dalla ricerca del Monitor Ortofrutta di Agroter su 3.000 responsabili acquisti che presenteremo il 3 maggio a Think Fresh (clicca qui per maggiori informazioni) gli spazi non solo sono ampi ma anche convincenti.

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