A spasso nella giungla delle pere

Tra dubbi e origini, etichette assenti e denominazioni fantasma

A spasso nella giungla delle pere

Il mercato delle pere quest’anno è di certo molto particolare: disponibilità di prodotto ai minimi storici, qualità visiva mediocre e prezzi alti complicano - e non poco - l’evolversi delle contrattazioni. Il risultato? I consumi stagnano. Questa situazione può in parte spiegare, ma non giustifica, quanto abbiamo notato la scorsa settimana prima dell’alba passeggiando fra gli stand di un Centro Agroalimentare del Nord Italia.

Non mi era mai capitato di vedere in un sol colpo una tale quantità e qualità di “indecenze” commerciali, con mancate applicazioni delle norme di commercializzazione che vanno dal bizzarro all’incredibile. 
Balza subito all'occhio il prodotto non italiano in imballi che dovrebbero essere riservati a produzioni nazionali protette. Sull’etichetta l’origine del frutto è chiara, ma l’impatto visivo induce l’acquirente in errore. Vignola non è in Olanda e quell’imballo andrebbe riservato alle ciliegie IGP di quella zona.
 
Peccato veniale? Forse sì, ma visto che poco distante faceva capolino la denominazione “Pere di Modena”, su una Conference dalla forma allungata non proprio tipica di un prodotto cresciuto all’ombra della Ghirlandina, la confusione aumenta. Modena è certo in Italia, su questo non ho dubbi, e l’etichetta - infatti - recitava Origine Italia, ma è la denominazione Pere di Modena il problema. Buona parte dei comuni della Provincia di Modena rientrano infatti nell’area di produzione della Pera dell’Emilia Romagna IGP, per cui non si dovrebbe usare la locuzione Pera di Modena, perché - oltre agli aspetti legali - si genera comunque confusione. 

Questioni di dettaglio? Non tanto, visto che questo guazzabuglio di sigle e locuzioni in libertà fa sì che il 27% degli italiani pensi che la fantomatica “Pera del Fucino” sia una DOP o una IGP, contro il 39% che raggiunge l’originale “Pera dell’Emilia Romagna”, secondo quanto emerge da una recente ricerca su un campione di 1.000 responsabili acquisti rappresentativi della popolazione nazionale condotta dal Monitor Ortofrutta di Agroter per UNAPera.

Ma queste potrebbero comunque risultare bazzecole se paragonate ai pallet di prodotto confezionato in imballaggi di recupero in legno, con grandi rischi di contaminazione con i presidi fitosanitari presenti sui prodotti precedenti, dove le etichette parlano di kaki o, anche, della bizzarra “multiproposta” pesche – susine – pere sullo stesso sticker (vedi foto di apertura). Da dove venga il prodotto nella maggior parte dei casi non è dato saperlo, è certo però che quota almeno 50 centesimi in meno della corrispondente referenza confezionata a norma, generando una concorrenza sleale.

Si arriva poi alle pere, sempre senza etichetta, ma con stampigliato sull’imballo “Novembra 14”, dove il numero sta certo per 14 frutti, come confermato dalle unità di prodotto nella padella, ma della varietà Novembra non avevo mai sentito parlare, così come non sono riuscito a trovarne traccia nel Regolamento UE che disciplina le norme di commercializzazione, e nemmeno gli esperti cui ho chiesto hanno saputo darmi risposta. Assomiglia un po' all'Abate ma qui, oltre alla critica sull’assenza di un’etichetta a norma, faccio un appello a chi potesse darci qualche lume.

Finisco con due note bizzarre: decana di incerta origine, ceralaccata e con fazzoletto rosso, in un imballaggio da meloni e marcata “Honey Red”, dove si vede chiaramente la vena artistica dell’autore. 

Infine, Melinda che ha finalmente deciso di entrare nel mondo delle pere, anche se rilevo che poteva fare meglio in termini di qualità del prodotto. Mi perdoneranno della burla i miei amici della Val di Non, ma qui il riciclo dell’imballo beffa una marca nota procurando danno a Lei oltre che all’acquirente del prodotto.

Ritornando alle cose serie, devo rilevare che da questa passeggiata notturna l’elemento più rilevante emerso non è l’aspetto tecnico delle diverse tipologie di inosservanza delle regole, ma la dimensione del fenomeno: decine di pedane, solo contando quelle in esposizione, che, sommate a quelle presumibilmente presenti nel retro degli stand, influenzano pesantemente il mercato, anzi alterano la concorrenza nel complesso, rendendola così vischiosa e poco trasparente.

Come avete visto ho parlato del peccato e non dei peccatori perché ritengo che il fenomeno meriti un approccio di sistema, non un intervento puntuale. Non voglio generalizzare, non sarebbe giusto e corretto nei confronti dei tanti operatori scrupolosi ma, altresì, nemmeno pensare che con qualche provvedimento tattico la situazione possa cambiare. Serve una presa di coscienza delle istituzioni e della filiera sul fatto che occorre un nuovo approccio di sistema, dove maggiori e più severi controlli dissuadono le pratiche sleali ma, anche, maggiore senso di responsabilità degli operatori che metta fuori mercato chi opera in modo non corretto.

Altrimenti continueranno a pagare i nostri produttori, già in ginocchio anche per altri motivi, produttori che – se qualcuno non lo avesse ancora capito – sono il vero motore di questo sistema. Senza di loro e le loro eccellenze, le pere sono destinate a diventare marginali nel nostro sistema di consumo insieme al loro mercato.

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