Ecco l'eredità lasciata dal Covid sull'agroalimentare

Ismea: otto punti su cui si è sviluppato il cambiamento. Un nuovo consumatore

Ecco l'eredità lasciata dal Covid sull'agroalimentare
La spesa per consumi domestici di prodotti alimentari è una delle poche variabili sulle quali l’emergenza Covid ha avuto un impatto positivo. Anche l'ortofrutta ha chiuso l'anno con il segno più (clicca qui per leggere l'approndimento), ma il risultato - come ricorda Ismea nel suo ultimo ReportCovid-19 - è figlio di mutamenti della società, delle abitudini di acquisto, di un fenomeno mai visto prima e totalmente imprevedebile.

Un fenomeno, la pandemia, che non è ancora passato ma che già ci sta lasciando un'eredità, che il settore agroalimentare si porterà dietro dopo un anno difficile ma, come sottolinea Ismea, "che tuttavia ha avuto il merito di riportare il tema dell'approvvigionamento alimentare tra le priorità strategiche, riattribuendo, allo stesso tempo, dignità e attenzione all'agricoltura, troppo spesso ancora relegata ai margini del sistema produttivo e considerato da molti ancora sinonimo di arretratezza".



Ismea riassume in otto punti le eredità che il coronavirus lascia al comparto agroalimentare, tendenze che anche l'ortofrutta ha vissuto - e sta vivendo - sulla propria pelle.

1) Dal globale al locale. Locale inteso come il negozio di vicinato, come il mercato rionale – contadino o meno – di quartiere, come le aziende agricole e anche quelle di trasformazione situate a una distanza ragionevole e orientate ai “prodotti del territorio” o, infine, al prodotto totalmente made in Italy. La pandemia ha accelerato quel processo di “deglobalizzazione” in atto da qualche tempo. Il problema è che questo è avvenuto non solo in Italia.

2) Food delivery. Quella che era la mania emergente di qualche pigro teenager, spesso finalizzata a mangiare, a parte l’immancabile pizza, cibi esotici come il sushi, nel giro di pochi mesi è divenuto un rilevante canale di distribuzione, un’ancora di salvataggio cui aggrapparsi per una ristorazione a rischio default e per le aziende agricole orientate all’agriturismo.

3) Consumo etico vs. consumo conveniente. È indiscusso che il grado di consapevolezza dei consumatori, soprattutto i più giovani, relativamente alle questioni etiche e di sostenibilità ambientale è crescente e sempre più rilevante nelle decisioni d’acquisto. D’altro lato, la crisi economica innescata dalla pandemia da Covid-19 lascerà strascichi rilevanti in termini di riduzione della capacità di acquisto di una parte importante di popolazione. Su questo labile confine si giocherà una partita importante per il futuro sviluppo dei consumi agroalimentari.

4) Homeworking. Che sia smart o meno è ormai diffusa l’idea che non si tornerà indietro, almeno non del tutto. Molti lavoratori avranno la possibilità di organizzare con più flessibilità il lavoro, limitando la presenza in ufficio, organizzando le attività da casa. L’organizzazione dei pasti più frequenti a casa potrà guidare una fetta consistente degli acquisti domestici alimentari del futuro.

5) Cibo e salute. Dallo scoppio della pandemia a oggi, il rapporto con il cibo è cambiato e diventato più stretto oltre che multidimensionale. Per un verso, il cibo è stata una delle vie per cercare di mantenere la salute: il boom degli acquisti di arance nell’inverno 2020 ne è uno degli indicatori più evidenti. Nella rarefazione delle relazioni sociali e nelle difficoltà psicofisiche di questi mesi si è anche amplificato il ruolo del cibo come fornitore di piacere, consentendo anche qualche piccolo deragliamento dal “percorso salutista”.

6) Siamo tutti chef. Il trascorrere delle settimane ha modificato l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del cibo: a fronte di un graduale ridimensionamento di interesse per i prodotti “alternativi al fresco” (surgelati e scatolame) e per i prodotti da “scorta dispensa” (latte Uht, pasta, passate di pomodoro), il paniere “cuochi a casa” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olioextravergine d’oliva) è quello che ha mostrato la maggior tenuta in terreno positivo.

7) Grandi città vs. piccoli centri. Qualcuno lo ha definito south-working ma è possibile che sia un fenomeno ancora più ampio. Il lavoro da casa ha riconnesso molti al proprio luogo d’origine o al proprio luogo del cuore dove si possiede una seconda casa. Fatto sta che le vendite di prodotti agroalimentari nei negozi situati in aree a bassa urbanizzazione sono cresciute più incisivamente (+6,7%) rispetto a quelle delle città (+0,3%).

8) La transizione digitale. Pur rimanendo ancora un settore nel complesso scarsamente propenso all’innovazione, questo anno contrassegnato dalla diffusione del Covid-19, ha indotto grandi passi avanti in termini organizzativi e di avvicinamento agli strumenti digitali anche da parte di tantissime imprese agricole.

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