Pomodoro, il dilemma del prezzo

Come convincere il consumatore a pagare di più con la qualità costante

Pomodoro, il dilemma del prezzo
C'è un gap da colmare perché il pomodoro possa guadagnare posizioni sul fronte dei consumi - stagnanti ormai da diversi anni in Italia - e del prezzo, quel prezzo che spesso, troppo spesso, fa rima con promozione e svalorizzazione. Un vuoto fatto di qualità, garanzia di gusto e di un consumatore che va convinto con i fatti: un consumatore che davanti al dilemma del prezzo sa come orientarsi perché capisce il senso di spendere 50 centesimi in più per un avere la sicurezza di acquistare un pomodoro buono.

Si è parlato di come risalire la china, di come strutturare una strategia volta alla qualità nella nostra diretta di giovedì scorso "Pomodoro, l'evoluzione del mercato: produzione e Gdo a confronto" (clicca qui per rivederla). Se gli aspetti qualitativi dell'offerta sono tra i punti critici, la soluzione può essere soltanto in un'azione di filiera: dal seme allo scaffale. Varietà giuste, coltivazione attenta, distribuzione pronta a valorizzare il prodotto e consumatore educato alla qualità.

Ne abbiamo parlato con Aldo Gargiulo (product development manager Italia Vilmorin), Rosario Tomasi (amministratore unico Vittoria Tomatoes), Vittorio Gona (presidente Alba Bio), Gino Vitale (amministratore unico Cvf), Lorenzo Trovato (buyer Mdd Freschissimi e Surgelati Crai Secom) e Roberto Della Casa (publisher representative di Agroter e Italiafruit News).

"Il pomodoro è una categoria assimilabile alle mele: si può fare category management, si può segmentare, si può sperimentare - ha detto Trovato - La distribuzione negli anni ha avuto molto materiale per creare un assortimento profondo, ma in questa profondità il rischio è di perdersi, di non riuscire a evidenziare le peculiarità dei prodotti. Si è cercato di distinguere l'offerta pensando alle destinazioni d'uso, ma ciò lascia indifferente il consumatore che tende a spostarsi sui prodotti che conosce di più. A differenza delle mele, al pomodoro manca la riconoscibilità agli occhi del cliente: per fidelizzarlo bisogna dare più identità al prodotto, avere caratteristiche qualitative veramente distintive che riconducono all'elemento principe: il gusto. Sul resto si sono fatti grandi progressi: serbevolezza, uniformità, durata sul banco, bellezza del prodotto... tutti parametri migliorati con lo sviluppo varietale. Sul gusto a volte le promesse non si riescono a mantenere. Ma su questo bisogna puntare per spendersi nei confronti del cliente, per promettere un qualche cosa che si riesce a garantire nel tempo senza timori di smentita".



E proprio su questo è impegnata Vilmorin. "Lavoriamo sui prodotti premium con tipologie ad alto gusto, ma uno dei nostri principali obiettivi è alzare l'asticella della qualità anche sui prodotti commodities, incrementando ad esempio le caratteristiche gustative di un cherry - ha rimarcato Gargiulo - Così facendo si può concorrere a un maggiore apprezzamento del consumatore medio e in prospettiva a incrementare i consumi. Notiamo una domanda crescente di prodotto a gusto, dai datterini ai miniplum, ma anche su tipologie più tradizionali come l'insalataro".

La riconoscibilità del prodotto può essere aiutata dal packaging, come ha ricordato Vitale. "E' un aspetto importante per la commercializzazione: il pack consente di legare il pomodoro al territorio, di raccontare valori e cultura. Il consumatore è attento a questi aspetti, oggi il Made in Sicily è un valore aggiunto fondamentale, così come richiede il gusto: ma davanti a un'offerta varietale molto ampia e alla produzione che arriva dall'estero ha difficoltà a individuare il prodotto a gusto".

La qualità ha un costo e per ottenerla servono scelte precise. "Quantità e qualità non si sposano - ha ribadito Tomasi - Se vuoi fare un prodotto premium devi dimenticare le rese e lavorare sul gusto. C'è però un problema commerciale: questi prodotti all'estero vengono valorizzati, in Italia la Gdo li vorrebbe con una differenza prezzo minima. Anche per questo come azienda esportiamo il 90% della nostra produzione".

E fare qualità in biologico, come ha detto Gona, è ancora più difficile. "La distribuzione europea ci sta dando tante soddisfazioni, mentre in Italia è difficile valorizzare il pomodoro ed è un vero peccato: credo sia una questione di mentalità. Con i pomodori bio abbiamo sviluppato un bel lavoro in Europa, siamo contenti di far sentire il fiato sul collo agli spagnoli. Ma i produttori del nostro Paese fanno fatica a fare gruppo e c'è una classe politica che non segue l'agricoltura".

Ma perché c'è questa differenza tra Italia e resto d'Europa? "All'estero la segmentazione funziona perché la marca del distributore segmenta per un prodotto best, che non può mai essere peggio del pomodori intermedio o di quello di primo prezzo - ha fatto notare Della Casa - Il più grande problema in Italia è che un giorno compriamo un pomodoro soddisfacente, un giorno un prodotto senza arte ne parte e una volta un articolo proprio cattivo... E il consumatore ricorderà la sensazione negativa. C'è bisogno di standardizzazione per incrementare i consumi, soprattutto ora che vendiamo più prodotto confezionato, dove la responsabilità è tutta dei produttori e dei distributori, il cliente compra una scatola e non ha la minima componente di scelta. Nessuno vuol mangiare male per spendere 50 cent in meno, ma i consumatori sono portati a spendere 50 cent in meno perché non hanno garanzie di mangiare bene: non è un problema di valore assoluto, ma relativo. Ecco perché è necessario creare un percorso virtuoso che porti le persone a ritenere che il pomodoro non debba costare 0,99 euro il chilo - ha concluso Della Casa - bisogna colmare il gap tra il percepito e la realtà, una strada che produttori e distributori devono fare insieme".

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