Pratiche sleali, dov'è finita l'ortofrutta?

Direttiva nata per i piccoli produttori, per ora assenti al tavolo con la distribuzione

Pratiche sleali, dov'è finita l'ortofrutta?
Che distribuzione e industria abbiano siglato un'intesa su un tema delicato come le pratiche commerciali sleali è certo un fatto positivo. La Direttiva europea è in corso di recepimento anche in Italia e i protagonisti di questo accordo mettono in mano al Legislatore alcune indicazioni condivise (clicca qui per leggerle) perché il provvedimento possa essere declinato nella giusta direzione e tutelare tutti i soggetti coinvolti nella filiera agroalimentare.

Ma una direttiva pensata per tutelare i piccoli produttori, cioè coloro che Parlamento e Commissione Europea ritenevano essere i più esposti alle pratiche sleali, li vede per il momento assenti dai tavoli che contano. L'intesa in questione, infatti, dribbla il mondo della produzione ortofrutticola, l'unico, assieme a quello della pesca, a vendere direttamente alla distribuzione. Cerealicoltori, olivicoltori, allevatori – solo per fare qualche esempio – producono materie prime che poi vengono trasformate dall’industria prima di finire sui banchi del supermercato per cui non dialogano direttamente con la distribuzione; mentre frutta e verdura sono tra i pochi prodotti che finiscono tal quali nei punti vendita dopo un semplice condizionamento. Sono i produttori, singoli o associati, al massimo grossisti condizionatori a dialogare direttamente con la Gdo ma di loro non vi è traccia nelle firme in calce all’accordo. L’aspetto anomalo è proprio questo, non tanto l'intesa – che invece mostra volontà di dialogo tra distribuzione e industria – ma il fatto che per ora manca all'appello uno dei soggetti principali per cui la Direttiva era nata.



L'anello debole della filiera, come è stato più volte ribattezzato, quello per cui le Istituzioni comunitarie hanno lavorato nella stesura di un provvedimento che ha creato più di un mal di pancia, era assente nel momento in cui distribuzione e industria alimentare trovavano un'intesa. E l'ortofrutta, vale la pena ricordarlo, vale oltre il 10% di quello che si vende in un supermercato: parliamo di miliardi di euro, non di bruscolini. Chi vende ortofrutta alla distribuzione che ruolo deve avere in questa partita? Chi, tra le tante sigle che rappresentano il mondo ortofrutticolo a vari livelli, dovrà ora farsi avanti? Chi dovrebbe essere presente al tavolo con la distribuzione? Non sarà forse che l’eccesso di rappresentanza rischia di tradursi in assenza di rappresentanza?

Non voglio esagerare con gli interrogativi e mi auguro che nelle prossime settimane in qualche modo si possa porre rimedio a questa situazione che, però, pone drammaticamente in evidenza la profonda debolezza del sistema ortofrutticolo nazionale e riafferma la necessità di fare sistema come andiamo dicendo oramai da tempo.

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