Morìa del kiwi, cosa sappiamo e cosa bisogna scoprire

Scortichini (Crea): «Le bombe d'acqua hanno scatenato la malattia»

Morìa del kiwi, cosa sappiamo e cosa bisogna scoprire
La vertiginosa espansione della morìa del kiwi in Italia è figlia del cambiamento climatico, delle piogge improvvise ed eccessive che, sempre più spesso, cadono sui nostri territori. Parola Marco Scortichini, dirigente di ricerca del Crea che analizza con noi di Italiafruit News le cause, i tanti punti oscuri della malattia e le ragioni per cui non sia praticamente presente in Nuova Zelanda.

"La morìa del kiwi - dice - è una patologia complessa che è causata da più microrganismi che collaborano in senso negativo: ci sono i funghi, i batteri anaerobi, che vivono in assenza di ossigeno, e probabilmente anche i nematodi. Il tutto è stato aggravato negli ultimi anni dal cambiamento climatico, in particolare dalle bombe d'acqua sempre più frequenti che possono attivare questo insieme di microbi. La malattia viene quindi innescata dai mutamenti climatici e prosegue secondo criteri che rimangono tuttora sconosciuti. Ad oggi, infatti, non siamo a conoscenza di come questi microrganismi agiscano singolarmente ed interagiscano fra loro nei confronti della morte della pianta".

In una recente intervista sul nostro giornale, l’imprenditore Giampaolo Dal Pane aveva suggerito ai produttori di kiwi di fare baulature e di utilizzare impianti di irrigazione a goccia e a spruzzo per contenere i problemi. La difesa dalla morìa passa soprattutto dalle tecniche agronomiche? 
Attraverso le pratiche agronomiche si può riuscire a mitigare la malattia, ma non a risolverla del tutto. Oggi sappiamo anche che l'introduzione di nuovi portainnesti, una volta adeguatamente sperimentati, può avere un ruolo importante nella forte limitazione della morìa.

L’irrigazione è comunque un aspetto da tenere in grande considerazione, visto che il kiwi è una delle specie frutticole a più alto fabbisogno di acqua. Forse non è un caso che in Emilia-Romagna, dove la gran parte dei produttori irriga l’actinidia in maniera oculata, la situazione della moria è sotto controllo rispetto a Lazio, Veneto e Piemonte...
Esiste una stretta relazione tra la malattia e la pratica dell'irrigazione. L’eccesso di acqua nel terreno per molto tempo può determinare le condizioni di anaerobiosi che possono favorire i microrganismi già citati in precedenza. E’ corretto dire, però, che fenomeni di morìa possono verificarsi anche nei casi in cui il produttore applica tecniche di irrigazione più razionali. Questo è quindi un aspetto che va indagato attraverso la ricerca.


Marco Scortichini

Ad incidere sull’espansione della patologia in Italia, secondo lei, può aver pesato anche la propensione ad impiegare fitoregolatori/ormoni per aumentare la pezzatura dei frutti?
Anche questo è un tema che occorre approfondire. Restano tanti i lati oscuri di questa malattia, che devono essere studiati nel dettaglio. 

C’è un motivo per cui la morìa del kiwi non è presente in Nuova Zelanda?
La diversità del suolo. In Nuova Zelanda, dopo un primo strato di tessitura abbastanza franca, c’è un sottosuolo piuttosto libero da compattamenti. Di conseguenza, il sistema radicale si approfondisce parecchio e il problema dell’acqua è meno pressante.

Nella prossima riunione del Comitato fitosanitario nazionale, convocata per lunedì 21 settembre, è all’ordine del giorno la costituzione di una task force contro la morìa. Cosa occorre fare per affrontare al meglio la grave situazione che si è creata?
Negli ultimi anni come Crea-Centro di ricerca per l’Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Roma, ci siamo mossi assieme all’Istituto Superiore di Sanità e all'Apofruit-sede di Aprilia per avviare una ricerca nel nuovo settore dei batteri anaerobi. Abbiamo dimostrato che questi microrganismi sono coinvolti nella morìa, in quanto riproducono i sintomi in campo in seguito all'inoculazione artificiale su piante sane allevate in pieno campo. Proseguiremo questi studi con l'auspicio di formare un gruppo con tutte Regioni più coinvolte nel problema. Occorre formare diversi gruppetti di lavoro che prendano in considerazione tutti i vari aspetti e gli studi disponibili al fine di chiarire come si sviluppa la malattia e, se possibile, di fornire soluzioni al mondo produttivo.

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