Come reagire al calo dell'export

Ecco i risultati del sondaggio. Vince l'aggregazione e la filiera vuole sussidi

Come reagire al calo dell'export
Il settore ortofrutticolo italiano è consapevole dell'importanza di dover compiere un ulteriore sforzo per presentarsi sui mercati esteri con una offerta sensibilmente aggregata, al fine di incrementare le proprie esportazioni. Questa la principale priorità che quasi sei lettori su dieci (58%) hanno indicato partecipando al nostro Sondaggio sulla crisi dell'export, online da giovedì scorso a ieri. Discretamente citata anche la risposta sugli sgravi fiscali (39% dei rispondenti), davanti allo sviluppo di azioni comuni di marketing e comunicazione all'estero (29%).

Ogni lettore di Italiafruit News ha avuto la possibilità di selezionare due risposte su una lista di sei priorità da noi indicate. In linea generale, è emerso che l'aggregazione (58%) e le agevolazioni fiscali (39%) sono campi strategici per sviluppare l'export italiano di ortofrutta fresca, mentre non lo sono l'apertura di nuovi mercati attraverso l'attività di lobbying e la formazione degli operatori, le due risposte in assoluto meno citate dalla nostra community.

Per la filiera tricolore, in pratica, lo Stato gioca un ruolo decisivo nella partita dell'export. Quasi quattro operatori su dieci sono infatti convinti che il nuovo Governo dovrebbe sostenere il settore con sussidi pubblici per contenere il gap competitivo sui costi: dalla manodopera all'energia al carburante.
 


A metà della classifica, poi, si posizionano le "azioni di marketing e comunicazione all'estero per dare valore alle produzioni italiane" (29%) e la “creazione di infrastrutture logistiche più efficienti" (27%).

Il nostro settore, infine, sembra ritenersi sufficientemente preparato per affrontare la sfida dell'internazionalizzazione. La risposta "Puntare sulla formazione per migliorare la professionalità e la preparazione degli operatori" è infatti la meno indicata dai nostri lettori: 17% dei rispondenti. E, a grande sorpresa, anche la creazione di un sistema più incisivo di lobbying per finalizzare nuovi protocolli fitosanitari per l'export viene considerato un aspetto secondario, ottenendo solo il 20% delle preferenze. 

Strano ma vero: per la filiera ha più senso cercare di ottenere aiuti pubblici che investire in azioni lobbistiche o nella formazione. Siamo sicuri di volere seguire questa strada? Mettere al centro l'assistenzialismo, tralasciando le conoscenze specialistiche degli operatori (lingue, conoscenze commerciali, tecniche, di marketing, ecc.) e l'opportunità di costruire relazioni istituzionali e commerciali più stabili grazie al lobbismo, è proprio ciò che non dovremmo fare. Di certo, l'aggregazione da sola non basta per aumentare le esportazioni, soprattutto sui mercati oltremare di medio o piccola dimensione, come ad esempio i Paesi del Medio Oriente. 

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