Asparago violetto di Albenga, il valore di sporcarsi le mani

La varietà, unica al mondo, viene apprezzata dai ristoranti italiani e francesi

Asparago violetto di Albenga, il valore di sporcarsi le mani
Ci vuole tanta passione e tanta buona volontà per portare avanti la coltivazione dell'Asparago violetto di Albenga, comune della provincia di Savona (Liguria) conosciuto per la produzione di altre tre specialità orticole, quali il carciofo spinoso, la zucchina trombetta e il pomodoro cuore di bue. "L'Asparago violetto di Albenga è una coltura non particolarmente produttiva che necessita di moltissimo tempo per essere seguita e curata. Tutte le fasi della produzione e della lavorazione sono completamente manuali, a partire dalla raccolta che eseguiamo con particolari palette", sottolinea a Italiafruit News l'imprenditrice Marisa Montano, che coordina i produttori di questo presidio Slow Food a rischio d'estinzione.

"Un impianto di asparago violetto, per produrre quantità interessanti, ha bisogno di almeno quattro anni: serve un anno per seminare, uno per trapiantare e altri due o tre anni per vedere qualcosa di bello".

Gli asparagicoltori locali, in questi giorni, attendono di vedere i primi turioni spuntare dai loro terreni. La raccolta, solitamente, inizia il 19 marzo, il giorno di San Giuseppe, e termina a San Giovanni, il 24 giugno. Motivo per cui l'asparago di Albenga viene chiamato "verdura dei Santi". "A oggi - spiega la referente dei produttori - prevediamo un lieve ritardo sulla partenza della stagione". 



"Il violetto di Albenga - aggiunge Monica Maroglio, responsabile Slow Food del presidio - è una varietà unica al mondo nell'universo degli asparagi. Non può incrociarsi con tutte le altre cultivar poiché possiede 40 cromosomi, anziché 20. Il turione ha la caratteristica di essere interamente commestibile e presenta una consistenza molto burrosa, tanto che diversi ristoranti lo propongono addirittura crudo".

La ristorazione (italiana e francese) è il canale di riferimento principale per gli asparagicoltori aderenti a Slow Food. Che, negli ultimi anni, hanno cominciato a collaborare anche con alcune boutique dell'ortofrutta, interessate a proporre prodotti di nicchia di particolare pregio. "L'alta ristorazione ci apprezza: con le prime raccolte, di solito, riusciamo a ottenere quotazioni di 17-18 euro il chilo - conclude Montano - Se scegliessimo di vendere il nostro prodotto nei Mercati all'ingrosso o nella Gdo, faremmo una brutta fine".

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