«Cipolla rossa, a Tropea rischiamo l'estinzione»

I profitti non coprono i costi per la raccolta manuale. E s'investe in zucchine

«Cipolla rossa, a Tropea rischiamo l'estinzione»
A dieci anni di distanza dall'ottenimento del marchio Igp, la cipolla rossa di Tropea-Calabria è ormai conosciuta e presente tutto l'anno negli assortimenti della Gdo nazionale. Insomma, un prodotto di successo. C'è, però, anche l'altro lato della medaglia. Nel comune di Tropea, area di produzione storica, il bulbo tradizionale rischia di scomparire poiché i prezzi pagati agli agricoltori non garantiscono nemmeno la copertura dei costi dovuti alla raccolta manuale. Molti imprenditori locali, così, hanno cominciato a disinvestire. E' il caso, ad esempio, dell'azienda guidata da Francesco Melograna che ha scelto di convertire la maggior parte delle proprie superfici coltivate a cipolla rossa (35 ettari) con impianti di zucchine e di altri tipi di ortaggi.

"Fino a dieci anni fa - spiega Melograna a Italiafruit News - la mia impresa specializzata dava lavoro a un centinaio di persone. Oggi rischio il fallimento. Cerco di sopravvivere, come sta facendo, tra l'altro, anche l'azienda Schiariti che ha perso quasi l'intera forza lavoro in dieci anni".

"A Tropea - evidenzia - la produzione di cipolla rossa, purtroppo, è stata penalizzata dal contestuale sviluppo dell'Igp in altre zone di produzione. La conformazione del nostro territorio e la tenacità dei nostri terreni (non sabbiosi) non ci permettono di fare raccolte meccanizzate, con le quali potremmo riuscire ad abbattere le spese”.

"La coltivazione di un ettaro ci arriva a costare, in media, circa 10mila euro, il triplo rispetto a quello che si può pagare in aree pianeggianti della Calabria, dove la produzione si porta avanti per tutto l'anno anche tramite l'adozione di serre. Si tratta di un costo troppo alto rispetto ai prezzi che oggi ci riconosce il mercato italiano”.

In pratica, a detta di Melograna, la cipolla rossa nella zona tipica di Tropea non avrebbe futuro. Un vero e proprio controsenso su cui Slow Food Italia potrebbe cercare di intervenire, per salvaguardare questa specialità e i metodi antichi. “La produzione locale è destinata a scomparire - conclude - Già oggi, la maggior parte dei campi sono incolti. Non ci resta che investire in altre colture orticole, oppure dedicarci alla pastorizia".  

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