Sacchetti a pagamento, è psicosi per la tassa occulta

Ortofrutta nell'occhio del ciclone, nella Gdo c'è chi chiede di cambiare la legge

Sacchetti a pagamento, è psicosi per la tassa occulta
Psicosi da sacchetto a pagamento. Proteste, indignazione, accuse - sbagliando spesso e volentieri il bersaglio, però – ecco il primo tangibile effetto dei nuovi shopper per riporre e pesare l'ortofrutta sfusa, quelli ecologici, quelli che il Governo italiano ha messo obbligatoriamente a pagamento interpretando in modo singolare la direttiva europea e scatenando così il putiferio dell'ultima settimana.

Poco importa se il costo del sacchetto – un imballaggio – prima era compreso nel prezzo del prodotto in vendita, come succede con tutti i costi di funzionamento. E ancora meno importante è che, a seconda delle catene, gli shopper siano venduti tra 1 e 3 centesimi e che in un anno possano pesare per una manciata di euro sulle tasche degli italiani, un'inezia rispetto agli ultimi aumenti di gas, elettricità ed autostrade. I consumatori hanno percepito una tassa occulta e l'effetto più grave, come avevamo facilmente pronosticato (clicca qui per leggere l'articolo) è quello psicologico. Il consumatore, almeno sui social, si sta ribellando, sta invocando la spesa diretta dal produttore, ma soprattutto sta accusando l'Unione Europea e la Grande distribuzione di speculare. Né Bruxelles, né la Gdo, però, hanno particolari responsabilità in tutto questo.



La novità scattata dal primo gennaio scorso è tutta farina del sacco del nostro Governo. Nessuno avrebbe obiettato per l'introduzione della nuova generazione di shopper (biodegradabili, compostabili e prodotti con una percentuale di materia prima rinnovabile non inferiore al 40% nel 2018 e poi destinata a salire fino al 60% nel 2021), ma renderli obbligatoriamente a pagamento, senza dare alternative tra l'altro, ha alimentato la protesta.

Negli ultimi giorni il reparto ortofrutta è così finito nell'occhio del ciclone e ne esce con un'immagine peggiorata nella percezione del consumatore: l'effetto mediatico è peggiore del consueto “caro zucchine” che si ripete ogni inverno. Certo che la Gdo, con i suoi mezzi, avrebbe potuto giocare d'anticipo e impostare una campagna di comunicazione in grado di prevenire questa crisi. Rincorrere gli eventi quando la polemica si sta ormai spargendo a macchia d'olio – anche se il provvedimento era noto dall'agosto scorso – diventa difficile anche per aziende dai fatturati miliardari.



Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes-U2, su Twitter scrive: “Siamo alla follia allo stato puro: oltre al danno la beffa. L'unica soluzione possibile è cancellare l'ingiusta legge che ci impedisce di regalare gli shopper, anche se questo comporterà più costi per la Gdo. Noi siamo pronti, invito i colleghi a fare altrettanto. A me sorprende che nessuno abbia capito che l'errore è nel divieto di cedere i sacchetti gratis, dimenticando che sono un imballo primario, fanno parte del prodotto, e da che mondo è mondo il loro costo (e l'eventuale tassa) è nel prezzo di vendita. Francamente rimango basito dal dilettantismo, superficialità ed improvvisazione con cui si emanano provvedimenti che hanno un impatto economico ed organizzativo di enorme portata! Gdo se ci sei batti un colpo!”.



E Giorgio Santambrogio, ad del Gruppo VéGé e presidente di Adm, aggiunge: “Vogliamo chiarezza. La Gdo è dalla parte dei consumatori: meno costi e più chiarezza, negli ultimi 5 anni abbiamo fatto risparmiare oltre 40 miliardi, con sconti e promozioni. Ora ci impongono per legge la vendita obbligata dei sacchetti bio e noi li vendiamo sottocosto per aiutare i clienti. Ed alla fine, rimborseremo anche questi, con ulteriori promo”.



“Siamo stati contrari a far pagare i nuovi sacchetti e ora siamo impegnati a contenerne il prezzo vendendoli sottocosto – riporta in una nota Coop - Quello che è necessario è fare chiarezza: le ultime interpretazioni ministeriali sui sacchetti monouso rendono ancora più complicata la gestione dell’intera situazione. Coop presenterà a breve soluzioni effettivamente praticabili di riuso dei materiali di confezionamento dell’ortofrutta a minor costo per i consumatori e più sostenibili per l’ambiente. In merito ad eventuali nuove disposizioni applicative della normativa che le autorità pubbliche volessero realizzare, riteniamo necessario un confronto preventivo con le rappresentanze delle imprese commerciali, affinché queste siano effettivamente praticabili".



“I sacchetti di prima costavano un terzo di quelli attuali – rimarca Francesco Pugliese, ad di Conad – come spesso accade si cerca di scaricare tutto sull'ultimo anello: l'unica a perderci con il consumatore è la Gdo”.



“La tempistica per l’adozione di questa norma non era così contingente da obbligarci ad essere tra i primi in Europa – spiega la presidente di Fida Confcommercio, Donatella Prampolini Manzini - e poteva altresì permetterci la ridiscussione dei termini. Ci spieghiamo meglio: se la finalità era quella di preservare l’ambiente non si capisce la necessità di obbligare gli esercenti a far pagare i nuovi sacchetti perché a differenza della norma sugli shopper, vale a dire le borse per il trasporto e le borse riutilizzabili, per i sacchetti utilizzati nei reparti self service una vera alternativa di fatto non c’è”.

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