Ambulanti e fruttivendoli, boom di imprese guidate da stranieri. Con dubbi

I numeri dell'Osservatorio Confesercenti. «Turnover sospetto»

Ambulanti e fruttivendoli, boom di imprese guidate da stranieri. Con dubbi
L’imprenditoria straniera va in controtendenza. Anche nel settore ortofrutticolo. Le attività condotte da persone nate fuori dall’Italia hanno il vento in poppa, nel nostro Paese. E’ quanto emerge da “Gli stranieri e le attività economiche”, indagine condotta dall’Osservatorio Confesercenti, elaborata a partire da dati camerali, del ministero dello Sviluppo economico e di Istat, che traccia dinamica e distribuzione dell’imprenditoria non italiana con un focus sulle grandi città.

A fine 2016 le imprese straniere erano 571mila, con una crescita del 25,8% sul 2011. Mentre le aziende italiane negli ultimi sei anni sono calate del 2,7%. Procedendo con questi ritmi, si legge nell'indagine, le imprese straniere raggiungerebbero quota 710mila nel 2021. 

I settori con una quota maggiore di imprenditori di nazionalità non italiana sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio con un totale di 206.767 imprese straniere.  Tra le attività specifiche più gettonate dagli stranieri, il commercio su area pubblica è al primo posto: gli ambulanti nati fuori dall’Italia sono circa 107.300, il 53,5% del totale. E nei centri urbani la quota è ancora maggiore: a Milano si arriva addirittura all’82%, a Palermo all’80,6%. Grandi numeri di imprese straniere anche nella ristorazione e nel servizio bar – dove sono quasi 30mila – e nel food take away, che vede attive circa 9.300 imprese non italiane tra kebab e altri servizi d’asporto. Il settore frutta e verdura conta 1.900 aziende straniere, il 12,7% del totale. 



Elevato il peso degli stranieri anche nei minimarket: se in grandi città del Sud come Napoli o Bari il fenomeno appare contenuto (6-7% delle imprese, la media Italia è 13,5%), in centri come Bologna si arriva a più di due terzi del totale (67,1%). Il Bangladesh è il paese che concentra più imprenditori (quasi un quarto del totale (22,7%). I cinesi rappresentano il 74,4% di tutta l’imprenditoria straniera, detenendo in pratica il monopolio per questa tipologia di attività, di cui in generale (rispetto al totale italiani e stranieri) costituiscono più di un quarto del totale. 

Il boom di imprese straniere ha coinvolto tutto il territorio nazionale, ma è stato particolarmente accentuato nelle grandi metropoli e nelle città d’arte. Oltre un quinto degli imprenditori non italiani (il 22,5%), infatti, si concentra in sette centri urbani: Roma, Milano, Napoli, Palermo, Bologna, Firenze e Torino. La capitale in particolare conta 48.413 attività non italiane, con un balzo del 165% negli ultimi sei anni. Seguono Milano (33.496) e Torino (16.660). Ma a registrare il tasso maggiore di stranieri è Firenze, con 7.684 imprese, il 17,3% del totale. 

“La performance dalle imprese straniere è tale da essere ai limiti della credibilità, soprattutto se si considera che il periodo analizzato è stato caratterizzato dalla più grande crisi economica vissuta dal Paese negli ultimi 70 anni”, il commento di Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti. “Rimane però il dubbio che molte di queste attività pratichino forme di concorrenza sleale. Un dubbio corroborato non solo dalle segnalazioni delle altre imprese, che ci arrivano in continuazione, ma anche dai dati fiscali. Nel commercio ambulante, ad esempio, risultano conosciute al fisco solo 60mila delle oltre 193mila imprese iscritte ai registri camerali”.

“Qualche perplessità – continua Bussoni – solleva anche l’elevato livello di turnover, ovvero il rapporto tra aperture e chiusure, che caratterizza le imprese straniere. Mediamente è il 24%, il doppio di quello delle attività italiane. In alcuni settori del commercio e dei servizi è poi ancora più elevato: ci sono livelli di turnover da spiegare ad esempio per frutta e verdura, ambulanti, ristorazione con asporto, bar". 

"Generalizzare - conclude l'esponente di Confesercenti - è sempre sbagliato, ma di fronte a tante e tali evidenze sarebbe necessario procedere ad un piano di controllo accurato dei settori che, dati alla mano, appaiono più a rischio di irregolarità. Altrimenti si rischia di dare un via libera di fatto a fenomeni di concorrenza sleale”.

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