Piazza: «Patate Made in Italy? Con marcatore e brevetto»

Riflessioni di un esperto di lungo corso sul problema dei tuberi stranieri spacciati per italiani

Piazza: «Patate Made in Italy? Con marcatore e brevetto»
I tuberi stranieri “spacciati” per italiani continuano a essere questione spinosa e, purtroppo, attuale. Dopo l’allarme lanciato dal presidente di Assopa, Michele Filippini (leggi qui), torna sull’argomento anche Roberto Piazza, già direttore di Fedagro Acmo Mercati Bologna ed esperto di marketing agroalimentare. Il quale racconta a Italiafruit News un aneddoto indicativo di quando, alla fine del secolo scorso, quando presiedeva già da più di 20 anni la borsa patate di Bologna, lo chiamò a Budrio, nel suo ufficio, il ragionier Ennio Pizzoli (Ad della Pizzoli spa, ndr).

“Mi fece notare come da mezza Italia si vendevano patate tipiche di Bologna - ricorda Piazza - fino a 300-400mila tonnellate, quando nei nostri comprensori ne producevamo al massimo 170-190mila. Bisognava fare qualche cosa di importante per contrastare il fenomeno e provai a pensarci".

“Alla fine l’idea me la diede un amico farmacista - continua l’esperto bolognese - mentre mi parlava di quante pastiglie di Selenium Ace (selenio con vitamine A, C ed E, ndr) vendeva. Mi spiegò che il selenio in dosi microscopiche nel nostro organismo diventa un antiossidante, antiradicali liberi e antinvecchiamento. Ecco, pensai, il selenio potrebbe essere il marcatore delle patate di Bologna. Ne parlai in Borsa, e quando ricevetti l’ok di tutti, andai alla Facoltà di chimica industriale, dove lavorava il professor Pifferi, il quale si occupò di ideare il prodotto liquido da distribuire con irrigazioni fogliari e lasciare così la firma del selenio. Il marcatore, appunto, nei nostri tuberi”.

Durante la sperimentazione, però, il mondo del commercio cominciò a pensare che la patata arricchita al selenio poteva rappresentare un’opportunità di segmentazione dell'offerta. “E i vantaggi – continua Piazza – erano per tutti i produttori, anche quelli che non avevano il selenio ma avevano aderito all'accordo interprofessionale firmato annualmente in Regione. A onor del vero, questa ipotesi fu sposata da tutti, anche dal sottoscritto, che a malincuore vide allontanarsi la possibilità di marcare le patate di Bologna e che, di seguito, fece di tutto per promuovere quella che diventò la famosa Selenella”.

Quindi, abbandonata la strada del marcatore, si adottarono vere strategie di marketing, nacquero Selenella, poi la Dop e la Jodì, mentre le patate “comuni” riportavano solo le indicazioni relative alla zona di produzione e alla ditta confezionatrice. “Insomma, abbiamo gli stessi problemi da venti anni e non so se la diversità dei terreni sia la strada giusta da percorrere, perché mi sembra si possa incorrere in errori. Probabilmente – conclude Piazza - un marcatore con alle spalle un brevetto, magari anche del sistema di produzione, taglierebbe la testa al toro e porterebbe i pataticoltori italiani a essere più compatti insieme ai loro uffici vendita, vale a dire i grossisti, che da 30-40 anni vendono le loro patate”.

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