Fruit Logistica e quella «marcia in più» di Berlino

Conclusa la 25esima edizione della fiera internazionale. Dove gli italiani provano a fare i tedeschi

Fruit Logistica e quella «marcia in più» di Berlino
In un contesto del tutto nuovo - tra scioperi aeroportuali, stand non completati in orario, cicche di sigarette lasciate a terra e altre amenità - ma sempre fedele a se stessa (freddo polare fuori, sovraffollamento dentro, e la crema degli operatori del settore in giro per i padiglioni), venerdì scorso si è dunque conclusa la 25esima edizione di Fruit Logistica.

A parte i numeri sempre eccezionali (3.100 espositori provenienti da 86 Paesi, 75mila visitatori da più di 130 nazioni) e le scomodità di questi “grandi spazi” (Fruit Attraction a Madrid è più vivibile e “simpatica”,  Macfrut a Rimini il “terzo incomodo per cui tutti tifiamo”, se non altro per spirito patriottico), Fruit Logistica si conferma - come dice il presidente di Fruitimprese, Marco Salvi, nell’intervista pubblicata oggi - "la" fiera per definizione.

C’è poco da fare. A Berlino si vede l’ortofrutta con una marcia in più: ci sono l’innovazione, la professionalità e i buyer. Insomma, c’è il business.



L’Italia peraltro non sfigura, anzi, migliora come il buon vino, anno dopo anno. Anche se, forse, non fa innamorare. Rispetto agli altri padiglioni (chi ha avuto il tempo di visitarli), siamo un po’ prevedibili e tradizionali, meno creativi di come ci dipingono. Ma, soprattutto, un po’ abbandonati a noi stessi. Da ministri e viceministri, oltre che dal clima mediterraneo.



Però, si sa, nelle difficoltà diamo il meglio. I segnali ci sono: i Paesi emergenti hanno ancora noi come riferimento; sempre noi abbiamo in mano la carta della qualità e sicurezza delle produzioni; siamo innovativi, per tecnologia, macchine e offerta varietale (lo confermano le nomination ai Flia, non solo 2017). E poi siamo affidabili, precisi, ci organizziamo (di più) e programmiamo (meglio). E, se non ci fossero scioperi negli aeroporti, saremmo anche puntuali. Insomma, i tedeschi siamo noi (politica permettendo).

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