Italia: non è un paese per legumi

Studio Confagri rileva in 50 anni il crollo dell’81% della produzione

Italia: non è un paese per legumi
Nel 2016, “Anno internazionale dei legumi” indetto dalle Nazioni Unite, l'Italia scopre di avere ridotto drasticamente produzione e consumo di questi prodotti spendendo, in compenso, centinaia di milioni per importarli.

Uno studio elaborato dal Centro studi di Confagricoltura su dati Istat, pubblicato online dalla Confederazione, evidenzia come la produzione di fagioli, piselli, lenticchie e altre colture analoghe sia diminuita nel complesso da più di 640mila tonnellate all'inizio degli anni Sessanta a meno di 121mila nel 2015. Un crollo dell'81% in poco più di cinquant'anni attribuibile, secondo l'organizzazione agricola, alla riduzione di suolo agricolo, al calo delle aziende di piccole dimensioni, tradizionalmente vocate a queste produzioni, e alla contrazione della domanda dovuta ai mutati stili alimentari.

Ma, a fronte di esportazioni irrisorie (11.600 ton, rimaste costanti) l’import di legumi secchi dell'Italia è passato dalle 16.100 tonnellate del 1961 a quasi 260mila nel 2015. Un'impennata che, in base alle elaborazioni di Confagricoltura su dati Fao, l'anno scorso si è tradotta in una spesa di oltre 236 milioni di dollari.

Nel nostro Paese, tra quelli a economia avanzata nei quali i legumi sono oltretutto ritenuti componente importante della Dieta mediterranea, i consumi pro-capite di questi prodotti nell'ultimo mezzo secolo sono praticamente dimezzati: da 12,8 a 6,1 chili.

Ora, la produzione di alcune specie come ceci, lenticchie e fagioli è in ripresa, grazie anche all'informazione sulle loro proprietà salutistiche e alla riconoscibilità. Basti dire che sei fagioli (bianco di Rotonda, cannellino di Atina, Cuneo, di Lamon della Vallata bellunese, di Sarconi e di Sorana) e una lenticchia (di Castelluccio di Norcia) hanno il riconoscimento comunitario di origine, Dop o Igp. Ma per ora, a livello europeo, l'Italia resta tra gli ultimi produttori.

Secondo lo studio di Confagricoltura, l’allarmante diffusione di fenomeni di perdita di fertilità, degrado e desertificazione dei suoli agricoli nel nostro Paese (stimati da Ispra nel 21% della superficie nazionale) suggerisce la reintroduzione di pratiche di rotazione colturale che coinvolgano la periodica coltivazione di leguminose.

Raffaella Quadretti
Editorial manager - Agroter Group
raffaella@agroter.net

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