«Più tecnologie per elevare la qualità. E anche il reddito»

Innovazione in selezione, post-raccolta, confezionamento, al centro del convegno Cermac a Expo

«Più tecnologie per elevare la qualità. E anche il reddito»
In concomitanza con il World Food Day, venerdì scorso, 16 ottobre, la filiera delle tecnologie per l'ortofrutta si è data appuntamento a Expo per un incontro dal titolo "La tecnologia fa buoni frutti", promosso dal consorzio Cermac. La scelta di tenere l'incontro proprio nei padiglioni di Rho (e in particolare nell'area del Biodiversity Park) non è stata casuale. «Le nostre aziende – ha spiegato Enrico Turoni, presidente Cermac, aprendo l'incontro – sono molto legate ai temi di Expo, che noi intendiamo in due modi: "nutrire il pianeta" significa per noi un'agricoltura sostenibile anche per i Paesi in Via di Sviluppo; "energia per la vita" coincide con un'alimentazione sana e produrre ortofrutta di qualità aiuta a star meglio».
  
L'Italia produce oltre 30 milioni di tonnellate di frutta e verdura, ma ne consuma solo 8-9 milioni, per cui è essenziale trovare uno sbocco nei mercati internazionali; dei 33 miliardi di euro esportati dall'agroalimentare italiano l'ortofrutta rappresenta il 22%, dato da ortaggi e frutta freschi (circa 10%), legumi (4%) e trasformati (8%). «Per questo servono sinergie – ha sottolineato Paolo Bruni, presidente Cso - e la nostra è una delle poche realtà in Italia in cui si riconosce un'ampia platea di attori della filiera. Condividiamo appieno il messaggio che la tecnologia sia lo strumento per ottenere la qualità, elemento distintivo in una competizione globale tanto agguerrita. L'elemento chiave dell'offerta italiana è la differenziazione qualitativa, legata anche alle tecnologie che permettono alle aree vocate di produrre sulla base di disciplinari tra i più rigidi del mondo». 



D'altronde, in tutto il mondo il settore dell'ortofrutta è in continua evoluzione, come ha raccontato Guglielmo Costa, professore ordinario di Arboricoltura generale presso il Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna, presentando l'attività della International Society for Horticultural Science. «L'ortofrutta – ha affermato - ha di fronte molte sfide, per affrontarle servono ricerca, insegnamento, innovazione... Oggi stiamo combattendo alcune "malattie" grazie alla tecnologia. Per esempio, nel caso dell'actinidia, usando del film plastici per le coperture, serre fotovoltaiche o teli riflettenti. Le stesse trappole a feromoni, che oggi diamo per scontate, hanno rappresentato un notevole passo avanti nella tecnologia per ridurre l'uso di antiparassitari, per non parlare degli strumenti non distruttivi che permettono di misurare la maturazione dei frutti».



La tecnologia, però, non fa qualità. Dopo il raccolto la tecnologia non può nulla, al massimo può non danneggiarla e classificarla, creando degli standard. «Negli ultimi decenni – ha raccontato a tale proposito Angelo Benedetti (foto sopra), presidente Unitec – ho visto tra i produttori forti investimenti volti ad aumentare la produzione per ettaro e  puntare su nuove varietà per migliorare i ricavi. Ritengo però che questa non sia la strada migliore: il reddito va migliorato ma le vie da seguire sono diverse. Noi proponiamo quella della differenziazione della qualità, intesa come capacità di rispondere alle esigenze dei target specifici (consumatore domestico o industria, provenienza geografica....) in modo coerente, per dare quella fiducia che favorisce il riacquisto». La tecnologia può essere utile in questo senso: per spedire frutta in mercati lontani bisogna selezionare quella con un grado di maturazione tale da permetterle di sopportare il viaggio e valorizzarla e farla apprezzare anche in mercati esigenti, che però sono anche quelli disposti a pagarla di più, come quelli asiatici, in primis il Giappone.



Un'altra faccia della qualità è la riduzione dell'impiego di sostanze chimiche, anche nel post-raccolta: alcune non sono più permesse, ma il consumatore non è particolarmente favorevole nemmeno all'utilizzo di quelle concesse. «Per venire incontro a questa tendenza – ha spiegato Luca Buglia, export manager Fruit control Equipment - si è dovuto trovare delle soluzioni alternative, come quella dell'atmosfera dinamica: in celle dalle caratteristiche speciali si crea un'atmosfera con una concentrazione bassissima di ossigeno, al limite dell'asfissia, in modo da inibire la respirazione della frutta. Questo trattamento, applicato con un protocollo denominato Swinglos dà risultati paragonabili a quelli ottenuti con prodotti chimici, con un ulteriore vantaggio: dopo l'uscita dalle celle in atmosfera dinamica la frutta prosegue il suo naturale metabolismo, permettendo il proseguimento della maturazione».



Dalla selezione, al post-raccolta, fino al confezionamento: anche il packaging terziario offre un contributo significativo al mantenimento della qualità, soprattutto quando si tratta di frutta e verdura destinata a compiere lunghi viaggi per arrivare al consumatore finale. «Mi piacerebbe – ha sottolineato Roberto Graziani (foto sopra), direttore generale di Graziani Packaging - che il pack e la tecnologia venissero visti in questo settore, come avviene già nell'industria alimentare, come un investimento e non come un costo subito. Noi veniamo per ultimi e il nostro compito è quello di capire le esigenze della logistica e di fare ricerca per garantire prodotti che non rovinino gli sforzi dei produttori ortofrutticoli, ma anche di tutti gli altri attori della filiera. Per questo è importante studiare tanti tipi di imballaggio per rispondere ad esigenze diverse. Per esempio i nostri angolari "Magic Corner" migliorano la tenuta dei pallet e, potendo essere personalizzati, offrono maggiore visibilità al brand». 



Ma il pack ha una valenza ulteriore e coerente con la sede e del giorno scelto per l'incontro, come ha precisato Giuseppe Montaguti amministratore delegato di Infia. «La Carta di Milano, che oggi (venerdì, ndr)  viene consegnata al Segretario dell'Onu Ban Ki-moon contiene valori fondamentali per il nostro settore. Oggi una quantità impressionante di cibo viene sprecato e anche nel nostro Paese abbiamo questo problema. La Carta di Milano dà però un segnale di speranza, puntando sulle tecnologie e sul packaging come strumento per tentare di risolvere questo problema». 
Montaguti ha spiegato come test condotti negli Usa e in Francia abbiano dimostrato che il confezionamento riduce gli sprechi, rispetto alla vendita di prodotto sfuso. «Il pack innovativo – ha ribadito - fa anche di più. Per esempio, la creazione di fori laterali nelle vaschette permette di ridurre l'energia necessaria al raffreddamento del prodotto (con un vantaggio di tipo economico e ambientale), garantisce migliori condizioni del prodotto perché evita la formazione di condensa. Questo previene la formazione di muffe e migliora la visibilità e questi elementi, insieme, favoriscono la rotazione a scaffale, con una ulteriore riduzione degli scarti». 


Da sinistra Fornari, Magnani e Soli

Tutto bello sulla carta, peccato che non siano molte le aziende italiane del settore che hanno compreso ciò che le tecnologie possono fare per far affermare la nostra ortofrutta nel mondo. «Gli spagnoli, per esempio – ha sottolineato Montaguti - sono stati più bravi di noi in questo. Fortunatamente, però, ci sono imprese che hanno compreso che se facciamo la lotta sul prezzo siamo destinati a perderla, se la facciamo sulla qualità la vinciamo, perché abbiamo tutte le caratteristiche per farlo, primo fra tutti il fatto di vivere in un Paese che per differenziazione, territorio e caratteristiche climatiche lo consente». 

Alcune di queste imprese erano presenti in sala. «Il contributo dei fornitori di tecnologia – ha affermato Claudio Magnani, Direttore operativo di Apofruit - è stato utile per affrontare non solo la crisi, ma soprattutto il cambiamento del mercato a livello internazionale, con prodotti capaci di distinguersi. L'innovazione varietale, per esempio, ha permesso il rilancio della produzione in alcune aree: in Romagna l'introduzione di nuove varietà di mele o di fragole ha permesso di trovare un'alternativa alla peschicoltura, ormai in crisi, riscoprendo  comparti quasi scomparsi. Il pack è un elemento di grande vantaggio che va governato per far arrivare il messaggio che la frutta contenuta ha una certa qualità. Purtroppo c'è il rischio che tutto quello che viene fatto sia banalizzato dal prezzo, ma credo che stiamo uscendo dalla fase in cui si vende solo in promozione». 



Più critico il punto di vista di Stefano Soli, direttore marketing di Alegra. «Sono tre – ha sottolineato - i termini fondamentali per il nostro settore. Differenziazione, continuità e affidabilità. Purtroppo, e lo dico con tristezza, gli italiani si riempiono la bocca con il termine qualità ma non siamo capaci di dare continuità. Manca poi anche il marketing e l'innovazione nei nostri magazzini rappresenta più un problema che un'opportunità».  Un progetto di filiera condiviso, con obiettivi comuni, potrebbe a suo avviso fare molto per il settore. 

Lo conferma l'esperienza di Jingold. «In Italia – ha concluso Alessandro Fornari – abbiamo una grandissima produzione con superfici microscopici, ma purtroppo non tutta la frutta italiana è buona. Noi come azienda abbiamo trovato benefici dalla collaborazione con i partner tecnologici e ormai facciamo fatica a pensare a un prodotto senza immaginarci la sua confezione, se non addirittura la pedana sulla quale viaggerà». 

Nella foto d'apertura, da sinistra Chris White, giornalista e moderatore dell'incontro, Roberto Graziani, Angelo Benedetti, Giuseppe Montaguti, Enrico Turoni, Guglielmo Costa, Paolo Bruni e Luca Buglia

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