GRANDI POTENZIALITA' MA POCO "MADE IN ITALY": IL MERCATO ASIATICO VISTO DA... JINGOLD

GRANDI POTENZIALITA' MA POCO "MADE IN ITALY": IL MERCATO ASIATICO VISTO DA... JINGOLD
A cura di Alessandro Fornari e Moreno Armuzzi (Jingold)

La Cina si prepara a festeggiare il capodanno cinese. Lasciamo alle spalle l'anno del serpente per entrare nel nuovo anno, il 2014, l'anno del cavallo, uno degli animali preferiti dai cinesi non solo perché immagine di viaggio, ma anche perché rappresenta un simbolo  di corsa verso il successo.
Dieci giorni. Singapore, Hong Kong, Taiwan, Shanghai e Seoul. Ventimila miglia percorse, andata e ritorno, per toccare con mano un mondo che, per quanto a volte ci sforziamo invano di capire, sta avanzando ad un'altra velocità di marcia.
Sono tante le immagini, gli odori e le emozioni che conserviamo al ritorno da questo viaggio che ci ha portato a visitare i principali clienti asiatici di Jingold presso le maggiori metropoli asiatiche, nei giorni che precedono le festività del capodanno. Difficile, se non impossibile, descrivere a parole i fiumi di persone in movimento negli aeroporti, nei treni e nelle stazioni, per le strade. E la massa senza fine di cibi e merci nei porti, presso i mercati all'ingrosso, nei centri commerciali, impacchettate con fiocchi e lustrini pronte per essere acquistate e regalate ai famigliari. Restano negli occhi i miliardi di lucine colorate che decorano ogni strada ed il bagliore accecante delle luci dei grattacieli scintillanti.




Armani, Gucci, Prada, Dolce e Gabbana, Zegna, Ferrari, Lamborghini. Sono decine i brand italiani presenti su questi mercati, a rappresentare le eccellenze del made in Italy, dalla moda alle auto ed ai gioielli di lusso. Fanno bella mostra di sé nelle strade più rinomate, nei department stores più costosi e alla moda. Quando a tavola, in occasione di qualche cena di lavoro con i clienti si affronta l'argomento "situazione economica in Europa", i nostri interlocutori faticano a comprendere come un paese quale l'Italia, riconosciuto all'estero per i propri prodotti e marchi d'eccellenza, possa essere in crisi. Come è possibile che un paese ed un popolo che hanno espresso tanti casi di aziende di successo non abbiano una economia florida?
Lasciamo le vetrine delle boutique e ci inoltriamo in cerca di risposte tra gli scaffali dell'alimentare dei principali retailers e, fatta eccezione per la solita Ferrero, che riempie le testate delle corsie con un tripudio di cioccolatini dorati (i cinesi neppure mangiano cioccolata!), troviamo tanti prodotti made in Italy sparsi qua e là, con marchi improbabili, abbandonati a se stessi. Anche la qualità, ad un occhio attento, risulta spesso dubbia, lo dimostrano le bottiglie di olio ‘extra vergine di oliva' di colore giallino, con la consistenza di un aceto di vino.
Tanti anche i prodotti pregiati e di ottima qualità, come nel reparto dei vini ad esempio, dove però convivono Sassicaia blasonati e Chianti sconosciuti, con una segmentazione di prezzo non sempre chiara. Ci mettiamo nei panni di un consumatore asiatico, non propriamente edotto sui cibi italiani, che probabilmente dopo l'atto d'acquisto avrà solo un 50% di probabilità di rimanere soddisfatto dal rapporto qualità/prezzo.
Attraversiamo gli scaffali dei freschi per arrivare nel reparto ortofrutta. In occasione delle festività del capodanno cinese è usanza regalare frutti ai propri famigliari, pertanto ogni negozio espone confezioni regalo di ogni tipo di frutta, oltre alle tradizionali confezioni per uso quotidiano. Questo è il periodo dell'anno dove si hanno le vendite maggiori, in valore e volume. La mente ci ritorna alle migliaia di containers visti nel porto di Hong Kong, alla sovrabbondanza di ogni tipo di frutta presente in tutti i mercati all'ingrosso visitati, presso i quali le vendite si sono protratte in questi giorni anche in tarda mattinata e perfino in orario pomeridiano. Ciliegie da Nuova Zelanda e Cile, uva da tavola dal Perù, mele e pere giapponesi, arance dalla Cina e dal Sud Africa, mele dagli USA, nettarine, meloni e cocomeri, ananas, pomelo, papaya, litchi e rambutan.





Gli scaffali dei negozi strabordano di ogni tipo di frutta da tutto il mondo, l'esposizione è curata nei minimi dettagli ed è difficile resistere alla tentazione di comprare qualcosa nonostante i prezzi incredibilmente elevati. Un melone a Singapore era venduto a  30 dollari. A Seoul, nove mele fuji in confezione regalo a 60 dollari. Alla faccia delle commodities.
Sugli scaffali, l'Italia è la grande assente tra i maggiori produttori mondiali di ortofrutta, fatta eccezione per il kiwi. Tanti sono i marchi italiani di kiwi verde presenti nei diversi mercati, più di uno contraddistinto dal marchio qualità del consorzio Kiwifruit of Italy, tra cui il nostro. Ma tanto è anche il kiwi italiano che però, agli occhi del consumatore, proprio italiano non è, perché confezionato con un marchio associato ad un altro Paese, che si trova dall'altra parte del mondo. Stranezze italiane, all'estero poco comprese.  Con orgoglio è bello vedere che, a pochi anni dalla sua introduzione sul mercato asiatico, Jingold (foto di apertura) è conosciuto ed apprezzato dagli operatori ed è presente sugli scaffali delle principali aree metropolitane, con il sUo bollino su cui è fieramente esposta la provenienza ‘Italy'. Avvertiamo anche chiaramente la potenzialità enorme di questi mercati, dove essere presenti oggi deve essere considerato come un punto di partenza, perché capiamo che è possibile una crescita esponenziale. Una crescita che non può riguardare solo il kiwi, ma che deve vedere protagoniste anche altre eccellenze dell'ortofrutta italiana. Un processo che non può vedere una o poche aziende in gioco, ma che dovrebbe essere condotto dal sistema Italia nel suo complesso. Sappiamo e dobbiamo fare di più, con criterio però. La qualità elevata deve essere un prerequisito. In questi mercati c'è una fascia importante di consumatori per cui il prezzo elevato non è un limite all'acquisto, purché poi l'esperienza di consumo soddisfi le aspettative. Chissà se può valere anche per i consumatori europei.

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