Scarsa colorazione dell'uva, le possibili soluzioni

Una criticità di questa campagna. Il Crea sta studiando il ruolo dei lieviti

Scarsa colorazione dell'uva, le possibili soluzioni
Da un punto di vista fitosanitario la campagna 2020 dell'uva da tavola non ha registrato particolari criticità. Problemi col tanto temuto cracking - che negli anni scorsi aveva creato importanti danni economici agli attori del comparto - per fortuna non ce ne sono stati. Quest'anno si sono piuttosto riscontrate difficoltà sul fronte della colorazione degli acini, segnalate a Italiafruit News da diversi operatori.

Su questa problematica abbiamo interpellato il Crea Viticoltura ed Enologia di Turi (Bari) che, su questo aspetto specifico della colorazione, sta conducendo studi dedicati. "Il consistente cambiamento climatico globale, in atto ormai dagli anni Novanta attraverso un progressivo aumento delle temperature, un’irregolare distribuzione annuale delle piogge e frequenti ondate di calore estive con prolungati periodi siccitosi si sta traducendo in un divario temporale sempre più marcato tra maturazione tecnologica (che avviene più precocemente) e maturazione fenolica e aromatica delle uve (che risultano spesso ritardate e/o incomplete alla raccolta)", spiegano i ricercatori Daniela Palattella e Pasquale Crupi e il technical supporter dell'azienda Lallemand Fabrizio Battista. "Nel caso delle uve a bacca rossa (come la Crimson o la Red Globe) questo fenomeno si manifesta con un rapido accumulo degli zuccheri negli acini, associato ad una contemporanea bassa acidità totale e ad un pH elevato, quando i tannini sono ancora troppo astringenti ed erbacei e gli antociani non hanno ancora raggiunto la loro massima concentrazione nelle bucce. Peraltro, va ricordato che gli antociani, composti fenolici responsabili del colore delle uve rosse, sono particolarmente sensibili agli incrementi termici. È stato infatti evidenziato che temperature superiori a 30 °C per periodi prolungati durante la maturazione possono causare la riduzione del loro accumulo nella buccia, dovuta sia ad una diminuzione/arresto della loro biosintesi sia ad una loro degradazione".


Pasquale Crupi, Daniela Palatella e Fabrizio Battista

Alla luce di queste problematiche, una delle sfide più attuali per i produttori di uva da tavola è quella di ottenere una colorazione intensa ed omogenea delle bacche alla maturità tecnologica, specialmente nelle annate più calde. E il 2020 è stata proprio una quelle. Una necessità dettata dall'evitare una riduzione del valore di mercato del prodotto, visto che il colore dell’uva e la sua uniformità rappresenta un parametro determinante in grado di orientare le preferenze del consumatore.

Ma quali possono essere gli interventi per arginare il problema. "In tale contesto, diverse pratiche agronomiche sono state sviluppate negli anni per migliorare la qualità ed in particolare il colore dell’uva da tavola - argomentano i ricercatori del Crea-VE di Turi e il technical supporter della Lallemand - Per esempio il diradamento dei grappoli, l’incisione anulare e la defogliazione precoce sono tutti interventi in vigneto che hanno effettivamente dimostrato di favorire la biosintesi di antociani e altri flavonoidi nell’uva, per quanto abbiano sovente prodotto degli effetti secondari indesiderati quali un eccessivo decremento delle dimensioni della bacca, fenomeni di scottatura dell’acino, o appassimento. Comunemente, poi, ottimi risultati si sono ottenuti utilizzando i fitoregolatori (come l’acido 2-cloro-etin fosfonico o l’acido S-abscissico) per i quali diversi lavori in letteratura ne hanno attestato l’efficacia verso l’incremento di colore (Koyama et al., 2018; Ferrara et al., 2015). Tuttavia, l’uso di queste molecole rischia di subire di anno in anno delle limitazioni sempre più restrittive da parte della Comunità Europea. In più non vanno certamente sottovalutati eventuali inconvenienti legati alla loro disponibilità commerciale, al loro breve tempo di vita sulla pianta, alla loro rapida conversione a metaboliti non attivi, alla loro sensibilità alla luce e conseguente inattivazione, al loro alto costo".

Una soluzione alternativa di notevole interesse è rappresentata dall’utilizzo dei cosiddetti “elicitori” in vigneto. "Gli elicitori comprendono una vasta gamma di molecole esogene di diversa natura (oligo- o polisaccaridi, peptidi, proteine e lipidi, ormoni vegetali o microrganismi) che sono in grado di stimolare i meccanismi di difesa della vite - illustrano Palattella, Battista e Crupi - Le applicazioni di elicitori costituiscono attualmente un interessante campo di ricerca in viticoltura. Nell'ultimo decennio, diversi prodotti commerciali sono a disposizione dei viticoltori che desiderano migliorare la maturità fenolica delle uve, tra i quali il metil jasmonato, il chitosano e il calcio cloruro. Al riguardo, però, i derivati di specifici ceppi di lievito secchi inattivi (LalVigne™ Mature) rappresentano una soluzione innovativa e sostenibile perché ottenuti da Saccaromyces Cerevisiae già presenti nell’ecosistema vigneto. Quando applicati in vigneto durante il periodo invaiatura-maturazione, attivano le vie del metabolismo secondario che portano all’accumulo di composti fenolici ed antocianici che, come risaputo, sono legati a meccanismi di protezione dell’uva contro diversi agenti biotici e abiotici. Diverse sperimentazioni condotte tra il 2015 ed il 2020 hanno dimostrato dettagliatamente che l’applicazione di estratti di lievito inattivato sulle foglie di vite è in grado di stimolare una maggiore sintesi e un maggior accumulo di antociani sia nelle uve da vino che nelle uve da tavola. L’indagine condotta a livello molecolare, ha permesso di comprendere che il trattamento ha un robusto impatto sull’aumento dell’espressione dei geni coinvolti nella via biosintetica dei fenilpropanoidi che porta alla sintesi delle antocianine.

La capacità di questo specifico lievito inattivato di indurre l'accumulo di composti fenolici è legata alla sua specifica composizione. Ogni ceppo di lievito inattivo, infatti, è caratterizzato da una diversa proporzione e composizione di mannoproteine, ß-1,3- e ß-1,6-glucani, chitina, lipidi, steroli e proteine della parete cellulare e delle membrane cellulari del lievito, le quali possono appunto agire come elicitori perché coinvolte nei meccanismi di difesa delle piante. Inoltre l’origine stessa di questi composti, da lievito, in parte concorre a simulare l’interazione vite-patogeno; ciò avviene grazie alla presenza di alcuni composti analoghi a quelli dei normali patogeni, in questo caso senza alcuna azione patogena per la pianta - concludono gli esperti - in grado di attivare dei meccanismi di difesa, arrivando a migliorare e rendere più efficiente il metabolismo secondario nel frutto in maturazione".

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