Coronavirus, una spinta allo urban farming

A favorire lo sviluppo degli orti urbani ha contribuito la paura degli scaffali vuoti

Coronavirus, una spinta allo urban farming
L’isolamento forzato dovuto all’epidemia ha rivoluzionato le nostre abitudini, a partire da quelle alimentari. Abbiamo imparato a fare le scorte, ad acquistare online e ora vogliamo coltivare da soli i prodotti freschi: in due parole ‘urban farming’.

Ma come si è sviluppata questa nuova tendenza? Secondo un’indagine Reuters riportata dal sito Fruitnet.com, i cittadini hanno incominciato a coltivare la propria frutta e verdura come reazione alla paura di trovare gli scaffali dei supermercati vuoti.
Lo sviluppo dello urban farming è molto sentito in alcuni Paesi asiatici come a Bangkok, dove si ritrova il più grande rooftop farm della Thailandia. A progettarlo l’architetto Kotchakorn Voraakhomm, che spiega: “E' sempre più ampia la riflessione sulla provenienza dei generi alimentari e sull’utilizzo del terreno nelle città. Lo sviluppo dello urban farming contribuisce a migliorare sicurezza e nutrizione, oltre a ridurre l’impatto climatico e lo stress”.

Anche Singapore, che importa il 90% dei suoi generi alimentari, si dimostra interessato a questo nuovo tipo di coltivazione. Risale infatti allo scorso anno la misura adottata dal governo per generare una produzione interna di alimenti del 30% entro il 2030, anche grazie a tecniche di urban farming.
Testimone della rivoluzione che il Paese sta vivendo, è Allan Lim di ComCrop, la prima azienda agricola sviluppata su un rooftop, che ha dichiarato: “Il coronavirus ha evidenziato le fragilità della catena di approvvigionamento e l’interesse verso le produzioni locali. Durante le crisi come questa, le fattorie urbane come la nostra funzionano da ammortizzatori”.


La serra a fotoluminescenza Serranova

In Italia la tendenza allo urban farming è sentita da anni: la possibilità di adattare una serra all’ambiente urbano favorisce una produzione ecosostenibile, priva di agrofarmaci, con prodotti dalla provenienza certificata, spesso a metro zero. 
E sono sempre più numerose le aziende che propongono soluzioni su misura: c’è chi realizza strutture illuminate a fotoluminescenza come Serranova (clicca qui per approfondire) e chi si è specializzato in coltivazioni idroponiche ed aeroponiche come Arkeofarm e BoxXland di Idromeccanica Lucchini (scopri di più). 


Una serra di Idromeccanica Lucchini

Lo urban farming si adatta a qualsiasi ambiente e i prodotti freschi possono essere coltivati sia sul balcone di casa che all’interno di un edificio abbandonato, anche in un’ottica di riqualificazione delle nostre città.
Se lo spazio disponibile è limitato, non rimane che scegliere una serra indoor: quella realizzata dalla startup bresciana Tomato+ sfrutta il principio del vertical farming, mentre le Grow Unit di Cefla sono specializzate nella produzione dei microgreens (vai alla notizia).


La serra indoor di Tomato+

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