Peschicoltura sull'orlo del tramonto

Nomisma fotografa i numeri del declino: crollo export ed effetto Spagna

Peschicoltura sull'orlo del tramonto
La Romagna peschicola rischia l'estinzione. Dal 2008 al 2018 le superfici dedicate alle pesche si sono ridotte del 54% (contro un -26% del dato nazionale), mentre per le nettarine il calo è stato del 51% (-40% in Italia). E' una fotografia a tinte fosche quella che Nomisma ha scattato sull'evoluzione del comparto ortofrutticolo romagnolo e italiano negli ultimi anni.

Anche la Sau a pere è diminuita del 25%. Certo, gli agricoltori romagnoli hanno convertito questi ettari ad altre produzioni: le superfici investite a kiwi sono passate da 3.062 a 4.419 ettari (+44%), quelle ad albicocco da 2.483 a 4.466 ettari (+80%). Ma la grande tradizione peschicola di questa zona sembra avvicinarsi al tramonto.

Denis Pantini Nomisma

Denis Pantini, responsabile di Agrifood Monitor di Nomisma, ha portato questi dati alla recente inaugurazione della "Cantina didattica e sperimentale Leonardo da Vinci” presso l'istituto professionale agrario Persolino-Strocchi di Faenza. Il ricercatore ha analizzato la produzione e l'export di pesche, nettarine e vino sfuso.



"La flessione nell’export di nettarine e di vino sfuso dalla Romagna discende da un trend negativo di mercato che ha interessato il settore a livello nazionale da diversi anni: si pensi che dal 2008 l’export di pesche e nettarine italiane è diminuito a volume di oltre il 50%, mentre quello di vino sfuso più del 20%".

Nel caso delle pesche e nettarine, la causa principale di tale calo, secondo il direttore Agroalimentare Nomisma, discende da una saturazione del mercato europeo determinata da incrementi produttivi che non hanno trovato una valvola di sfogo in un aumento proporzionale dei consumi.



Sfogliando l'album dei ricordi, sono ormai lontani gli anni Sessanta, quando l’Italia rappresentava il primo produttore europeo di pesche e nettarine con un peso dell’80% sui volumi prodotti dei 3 top Paesi (Italia, Spagna e Grecia). "Oggi tale incidenza è scesa al 35% pur mantenendo volumi di produzione poco distanti da allora, superiori a 1,3 milioni di tonnellate. Questo perché nel frattempo la Spagna, ma anche la Grecia, hanno aumentato sensibilmente le produzioni", rimarca Pantini.



L'export di pesche e nettarine si sgonfia, con il prodotto nazionale che soffre la concorrenza di quello spagnolo. Non è solo una questione di prezzo: lo scorso anno le quotazioni delle pesche spagnole esportate sono state leggermente superiori a quelle italiane (nel bimestre luglio-agosto 2018, il prezzo medio all’export delle nettarine spagnole è stato di 1,01 €/kg contro 0,96 €/kg di quelle italiane), ma è un fatto di competitività. Le aziende iberiche riescono ad avere marginalità maggiori - basti pensare che solo nella manodopera il gap di costo è di quasi il 40% - oltre ad avere una miglior organizzazione e programmazione sia produttiva che commerciale.



"Bisogna poi considerare, nel caso del mercato della frutta fresca, che oggi i consumatori possono contare su una maggior disponibilità di prodotti differenti lungo tutto l’anno, (sia italiani che di importazione - conclude Pantini - mettendo in concorrenza pesche e nettarine con altri frutti che fino a pochi anni fa non erano in vendita nello stesso periodo".

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