Il conto salato dell'embargo russo

Report Ismea: l'ortofrutta italiana ha perso oltre 130 milioni di euro

Il conto salato dell'embargo russo
L'ortofrutta è il settore dell'agroalimentare che paga maggiormente lo scotto dell'embargo russo: uva, mele, kiwi e pesche sono tra i prodotti più penalizzati dalla risposta di Vladimir Putin alle sanzioni economiche emanate dall'Unione Europea nei confronti della sua Federazione dopo l'annessione della Crimea nel 2014.

Se la perdita economica per le esportazioni agroalimentari italiane per effetto dall'embargo è di 217 milioni di euro, la frutta fresca ne vale oltre la metà: 112 milioni, a cui si possono aggiungere i 20 milioni di ortaggi e legumi. La frutta è seguita dalle carni (57 milioni) e da latte e derivati (48 milioni), tre settori che hanno visto azzerare le esportazioni. Questi i numeri contenuti nell'ultimo report elaborato da Ismea e dedicato agli scambi agroalimentari tra Italia e Russia.



La dinamica dell’ultimo decennio dell’import russo di prodotti agroalimentari italiani è risultata in crescita del 124% nel periodo pre-embargo (da 485 milioni di euro nel 2009 a 1,1 miliardi di euro nel 2013), per poi contrarsi del -12,9% nel 2018 rispetto al 2013, attestandosi a 945 miliardi di euro. A partire dal 2014, in attuazione delle restrizioni previste dall’embargo, si sono azzerate le importazioni russe dall’Italia di frutta, carni, latte e derivati e hanno preso quota alcuni prodotti prima del tutto marginali, quali i tabacchi e le piante vive e prodotti della floricoltura.

Interessante esaminare l'andamento delle importazioni russe di frutta - primo comparto merceologico dell'agroalimentare - un mercato da 4,3 miliardi di euro nel 2018. Se la Federazione importava frutta per 3,1 miliardi nel 2009, nel 2013 aveva raggiunto il picco di 4,8 miliardi. Poi una riduzione dovuta in parte alla crisi economica, ma anche alle politiche autarchiche introdotte dal Cremlino.



Nel 2013 le esportazioni italiane verso la Russia di mele valevano 23 milioni, di kiwi 21 milioni, di pesche e nettarine 12 milioni, di uva 38 milioni... Il danno causato dalla chiusura del mercato si è riversato su pochi settori e su circoscritti areali produttivi accentuandone gli effetti. Molte delle produzioni interessate, infatti, provengono da specifiche regioni come il Trentino Alto Adige (mele), Emilia Romagna (pesche), Puglia (uva) e Lazio (kiwi). "Le poche filiere e i limitati territori interessati hanno quindi sostenuto gran parte della perdita - sottolinea Ismea - dovendo modificare velocemente le strategie di collocamento sui mercati esteri e gestire il surplus produttivo".

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