Pomodori, ritrovati i geni che migliorano il sapore

Pomodori, ritrovati i geni che migliorano il sapore
Ritrovati circa 5.000 geni dei pomodori che nelle varietà moderne erano andati perduti e che aiuteranno a restituire il sapore alle varietà attualmente coltivate. Oltre al sapore, i geni potranno rendere le piante più resistenti alle malattie e più sostenibili per l'ambiente. La ricerca del Boyce Thompson Institute, pubblicata sulla rivista Nature Genetics, ha permesso di ottenere la mappa più completa di sempre del Dna dei pomodori, con i dati relativi a  725 varietà, fra coltivate e selvatiche: un vero e priopio 'pangenoma', come lo hanno definito i ricercatori.

Il gruppo coordinato da Zhagjun Fei ha scoperto 4.873 nuovi geni e identificato una rara versione di un gene che dà più sapore ai pomodori e che potrà aiutare "I coltivatori a selezionare i geni che preferiscono, per migliorare i loro pomodori, rendendoli ad esempio più gustosi", precisa Fei.

La prima mappa genetica dei pomodori risale al 2012 e da allora se ne sono aggiunte molte altre. L'attuale studio, però, è il primo a estrarre tutte queste sequenze genetiche, insieme ad altre 166 nuove, e a ritrovare i geni assenti dal genoma di riferimento. "Nella coltivazione del pomodoro - prosegue Zhagjun Fei - gli agricoltori si sono concentrati sulle caratteristiche necessarie ad aumentare la produzione, come forma e dimensione. Così altri geni importanti, collegati alla qualità e alla tolleranza allo stress, sono andati perduti".

In particolare si è visto che nelle varietà coltivate il gruppo di geni mancante più frequente è quello coinvolto nei meccanismi di difesa, e che potrà aiutare i coltivatori a sviluppare varietà capaci di resistere a malattie che oggi possono essere combattute solo con i pesticidi, costosi e dannosi per l'ambiente.

I ricercatori hanno infine identificato una mutazione rara, chiamata TomLoxC, che contribuisce a dare un sapore invitante al pomodoro, nonché al suo colore rosso: è presente nel 91,2% dei pomodori selvatici, ma solo nel 2,2% delle più antiche varietà coltivate e nel 7% di quelle moderne.

Fonte: Ansa