Nove centesimi il chilo tra falsi miti e dura realtà

Tre proposte per correggere la pericolosa deriva delle angurie

Nove centesimi il chilo tra falsi miti e dura realtà
E’ confortante che più del 50% dei lettori che hanno risposto al sondaggio sulle promozioni di prezzo sulle angurie le ritenga squalificanti per l’intero settore. Poiché una larga fetta dei nostri lettori appartiene al mondo della distribuzione verrebbe da chiedersi perché queste promozioni continuino però a imperversare sui volantini della maggior parte dei gruppi distributivi nazionali.



La risposta è articolata e sottende carenze strategiche profonde del nostro sistema distributivo, amplificate da un comparto che ancora pensa alle rese per ettaro come unica divinità da idolatrare e preme sulla distribuzione con i suoi grandi volumi. Vediamo insieme le principali motivazioni e i possibili correttivi.

1. Abitudine: facciamo così da tanto tempo. E’ vero, l’idea di promuovere le angurie di grande pezzatura a prezzi unitari stracciati si collega alla volontà di favorire l’uso del carrello quando la distribuzione moderna lottava ancora con il dettaglio tradizionale nelle vendite di alimentari. L’acquirente non era abituato al carrello e l’anguria grande lo rendeva necessario, rendendo possibile al contempo una spesa più ricca e completa. Vent’anni dopo, nell’epoca della riduzione degli sprechi e degli scarti, i presupposti sono opposti e, se non legata a usi conviviali, l’anguria grande rischia di essere controproducente a qualsiasi prezzo nel vissuto del consumatore. Pertanto occorre evitare queste promozioni e mantenere il servizio dell’anguria grande soprattutto nel fine settimana, quando è più probabile vi sia domanda per l’uso specifico.



2. Presidio del mercato: se lo fanno i concorrenti non possiamo non farlo.  E’ una motivazione profondamente sbagliata almeno per due ragioni. La prima è che occorrerebbe sapere quale è il risultato diretto per i concorrenti. Ovvero: ne vendono davvero tante? Anche fosse: i clienti sono soddisfatti dell’acquisto o, dopo l’iniziale acquisto compulsivo, al primo boccone si pentono di quanto hanno fatto? La seconda è che copiando in modo pedissequo i concorrenti si perde identità, per cui si diviene completamente sostituibili agli occhi del cliente, riducendo così la fedeltà. Per questo è opportuno evitare il marcamento stile “Gentile su Zico” e puntare su una proposta alternativa altrettanto ricca di valori emozionali, come la promozione del prodotto tagliato o di un prodotto di alta soddisfazione gustativa. 

3. Volumi: il reparto ortofrutta ha bisogno di muovere volumi per generare penetrazione e, grazie all’elevata frequenza d’acquisto, aumentare le vendite complessive del negozio. E’ vero, chi compra ortofrutta fa certo la restante parte della spesa nel negozio e non è sempre vero il contrario: chi compra il secco non sempre compra ortofrutta nel negozio. Siamo però sicuri che infilarsi in un fit tainer per estrarre una “bestia” di 8-10 kg per poco più di un euro sia ciò che serve per convincere chi non compra ortofrutta nel negozio a farlo? O, addirittura, che questa “cuccagna” sposti flussi da altri negozi? Un risposta di buon senso non può che essere negativa. Per generare traffico occorre ben altro, una corretta segmentazione della proposta di assortimento che intercetti il target degli utenti di riferimento del negozio. Purtroppo - o per fortuna, dico io - è finita l’epoca in cui tutti i distributori possono intercettare tutti i clienti della piazza in cui operano. E’ arrivato il tempo delle scelte. Ma di questo parleremo la prossima volta. 

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