Pesche e nettarine, «un bel tacer non fu mai scritto»

Tutti mobilitati per risolvere la crisi. Ma servono (poche) idee chiare

Pesche e nettarine, «un bel tacer non fu mai scritto»
Pesche e nettarine, soluzioni cercasi.
Ci stanno provando tutti, a dispetto delle proprie competenze e interessi. L’ennesima annata no di pesche e nettarine sta stimolando analisi e commenti da più fronti.
Io che di lavoro faccio (o sono) giornalista, di soluzioni non ne ho. E come potrei averne? Certo, mi sono laureata con il professor Sansavini, quando il Dipartimento di Colture arboree dell’Alma Mater di Bologna era punto di riferimento internazionale per la ricerca del settore, ma non ne ho fatto un mestiere.
 
Alcune riflessioni, però, posso farle. A cominciare dalle prime grida d’allarme che, occhio e croce, risalgono a fine anni Novanta. E allora delle due l’una: o chi ne sapeva qualche anno fa non è stato ascoltato, oppure le tante ricerche di mercato condotte da altrettanti esperti professionisti non hanno avuto fortuna. Tertium non datur, nessuno aveva capito niente. Né i grandi produttori ortofrutticoli, né gli operatori, né gli studiosi.
 
Nel conto possiamo ovviamente aggiungere le crisi di mercato, l’aumento della concorrenza, i costi di produzione in Italia sempre meno competitivi, fatto sta che uno dei prodotti ortofrutticoli simbolo della nostra agricoltura è ormai da più anni in “codice rosso”, senza che “tante parole” abbiano modificato – nel bene o nel male – l’inquietante panorama.
 
Qualità, aggregazione, segmentazione, biologico, differenziazione, promozione, tutte “parole sante”, chi potrebbe dissentire? Credo, però, che la domanda oggi non sia più “cosa?”, quanto piuttosto “come?”. E ancora, non più “dire” ma “fare”.

Ce l’abbiamo un’idea? Da sviluppare, intendo, con obiettivi, costi, tempistiche e risultati attesi.  Ecco, io volentieri vorrei commentare quella, a quella darei spazio e visibilità. Altrimenti, meglio un dignitoso silenzio.

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