Vendita diretta, il Mise non cancella i dubbi

Il viceministro: oltre i 160mila euro si ricade nella disciplina del commercio. Fida e M5S perplessi

Vendita diretta, il Mise non cancella i dubbi
Il 5 aprile scorso, nell'ambito dei lavori della decima commissione attività produttive della Camera, il viceministro allo sviluppo economico Teresa Bellanova (nella foto) ha risposto a un'interpellanza inerente la vendita diretta al dettaglio di prodotti delle aziende agricole presentata dal Movimento 5 Stelle ponendo alcuni "paletti" che però non sembrano soddisfare a pieno né le parti economiche coinvolte dalla delicata questione, né i promotori del quesito.

In particolare, erano stati chiesti chiarimenti circa l'entità del termine "prevalente" e i confini tra attività di imprenditore agricolo ed attività di commercio al dettaglio alla luce del Decreto legislativo 114/1998 che disciplina l'attività commerciale.

Il sottosegretario del Mise ha spiegato che qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a 160 mila euro per gli imprenditori individuali oppure a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998 inerenti la disciplina del commercio.

Secondo il Governo la prevalenza dei prodotti provenienti da fondi propri rispetto ai prodotti non provenienti da fondi propri va pertanto riferita a termini economici determinati, non al peso o al volume dei prodotti, ed è da calcolare non solo in termini percentuali, ma anche in termini assoluti relativi ai ricavi. L'ammontare della vendita di prodotti non provenienti dai propri fondi deve sempre restare inferiore a quello "frutto" del commercio di prodotti dei propri fondi, fino al limite massimo comunque fissato per le diverse tipologie di imprese agricole.


Superare il limite di 160 mila euro, dunque, comporta il passaggio dall'attività di imprenditore agricolo a quella di esercente al dettaglio e fa ricadere nell'ambito dell'attività commerciale al quale si applica il Decreto Lesiglativo 114/1998 con le relative disposizioni, compreso l'obbligo del possesso dei requisiti professionali per il commercio alimentare al dettaglio.

Per Fida Confcommercio “la risposta chiarisce elementi importanti ma non risolve l’anomalia di fondo: chi svolge una stessa attività deve essere soggetto alle stesse regole, indipendentemente dal fatturato”.

"Siamo soddisfatti perché è stato dato un limite al concetto di prevalenza e di fatturato massimo sviluppabile dagli agricoltori prima di rientrare nell’attività commerciale", spiega Donatella Prampolini Manzini, presidente Fida – Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione di Confcommercio "ma ribadiamo ancora una volta che ciò non sana l’anomalia di base e cioè che chi svolge la stessa attività deve essere soggetto alle stesse regole, anche se sviluppa fatturato marginale".

"Se si intende sostenere le vendite a chilometro zero da parte degli agricoltori senza farle ricadere nella legislazione commerciale allora si modifichi il concetto di “prevalente” in quello di “esclusivo”, conclude Prampolini Manzini, che in definitiva sollecita "ognuno a fare il proprio mestiere".

Insoddisfatti i promotori dell'interpellanza: "Dalla risposta della viceministra Bellanova - sottolinea Massimiliano Bernini, il deputato dei 5 Stelle che ha presentato l'interrogazione - si evince che il termine “€œprevalente” è riferito a un oggettivo valore economico, ma il Governo ignora che esiste una problematica sfociata fin troppe volte in contenziosi. Le associazioni dei commercianti, infatti, hanno denunciato più volte condotte sleali da parte di alcuni agricoltori che hanno sfruttato l’ambiguità normativa riguardante la “€vendita diretta per arrecare danni a commercianti e agricoltori onesti".

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